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Urban Groovescapes: Max Casacci racconta il suo nuovo “esperimento” musicale

by Giusy
Urban Groovescapes

Seconda fatica sonora da solista per il co-fondatore dei Subsonica, Max Casacci: Urban Groovescapes ha come oggetto la città e le sue trasformazioni. Il suo è un esperimento pop verace, pulsante e coinvolgente, un gioco a svelare e un invito alla danza.

Dopo l’album d’esordio solista Earthphonia, realizzato esclusivamente attraverso suoni della natura e dei suoi ecosistemi, il musicista, sperimentatore e produttore, con Urban Groovescapes ci fa dono di 10 brani composti esclusivamente mediante registrazioni e manipolazioni dei suoni delle città. Un’esperienza sonora senza strumenti musicali, incentrata sul ritmo, che è uno stimolo a rileggere il rapporto con lo spazio urbano, attraverso un rinnovato impegno di immaginazione collettiva. 



Urban Groovescapes: Intervista a Max Casacci

Ciao Max, benvenuto su InsideMusic, come stai?
Il 25 Novembre scorso è uscito il tuo nuovo lavoro “Urban Groovescapes”: una collezione di brani composti esclusivamente mediante registrazioni e la manipolazione dei suoni della città.
Con “Earthphonia” ci avevi già sorpreso e meravigliato: come è nato, invece, questo nuovo progetto di ricerca sonora all’interno di un contesto che noi – in maniera piuttosto distratta e superficiale – consideriamo rumoroso?

I primi esperimenti di trasformazione dei rumori dello spazio urbano in musica sono addirittura precedenti a Earthphonia, mai avrei pensato di costruire intorno a questi ultimi la narrazione e l’articolazione di un intero album. La città, tuttavia, è sempre stata il mio ambiente naturale di riferimento, va da sé, quindi, che appena ho cominciato a fare musica, gradualmente – prima con gli strumenti musicali e poi con i rumori – questa cosa sia avvenuta all’interno dello scenario urbano.
È stata la parentesi “Earthphonia” ad allargarmi le spalle e farmi confrontare con la possibilità di realizzare musica senza strumenti, in un formato narrativo fatto anche di album. Sono andato a riprendere alcuni di questi primi esperimenti e poi, il grosso del materiale, è venuto in un secondo momento.
Sicuramente, la relazione con lo spazio urbano – che significa anche ricerca di elementi straordinari in una dimensione ordinaria – era già in essere. Noi siamo avvolti da una sinfonia quotidiana che neanche avvertiamo più: suoni che ci hanno accompagnato per tutta la vita e che, senza rendercene conto, con il passaggio alle tecnologie, a un certo punto scompaiono. Si tratta di suoni che, in qualche modo, hanno a che fare con la nostra identità.
Una chiave di lettura di questa idea del ballare – un’azione straordinaria, che ha a che fare con un momento di gioia episodica – con i suoni che rappresentano il nostro ordinario quotidiano, è il gioco che sta alla base di Urban Groovescapes.
Un gioco di trasformazione e immaginazione nel provare a stimolarci, prima di immaginare una città diversa: oggi c’è un gran bisogno di organizzare il nostro spazio urbano e le nostre città perché sono i luoghi che in questo momento impattano di più sulla salute del pianeta e che cominciano, in modo molto evidente, a essere insostenibili. Ci sono città che continuano ad accumulare nuove cittadinanze e che diventano megalopoli, rivelando che, nel rapporto tra esseri umani e sostenibilità ambientale, queste cose devono essere completamente riviste, ripensate e ri-immaginate. Le città, sotto questo punto di vista, sono la chiave di trasformazione del mondo.

Urban Groovescapes è un’esortazione a rivalutare il nostro rapporto con lo spazio urbano e a ristabilire una presa di coscienza e – magari – di appartenenza. Com’è avvenuta la lavorazione, la selezione dei suoni ideali e la loro registrazione?

Ogni brano ha una storia sonora a sé, che appartiene anche a momenti diversi tra loro, in alcuni casi anche distanti di anni. Sono cose che hanno avuto gestazioni differenti e modalità di approccio tecnico diverse. La situazione standard prevede dispositivi digitali, ma anche analogici: io ho un vecchio registratore a nastro che utilizzava mio padre quando faceva cinema, veniva usato per registrare durante le riprese esterne. Dopodiché, al di là di catturare il suono, c’è la questione musicale del capire dove portare questo suono, o meglio, dove questo suono porterà te! Perché poi è quella la differenza fondamentale di fare musica con i rumori, rispetto agli strumenti: con uno strumento tu hai la percezione di guidare, sei tu che metti tutta la tua esperienza, con tutto ciò che hai ascoltato e imparato su quello strumento, andando alla ricerca di qualcosa, in modalità confort-zone.

Quando sei difronte a un rumore, contrariamente, non governi niente: il rumore non si fa certo guidare, è lui che deve portare te. Questa è la ragione principale per cui continuo a non smettere con la musica fatta di rumori: hai questa sensazione di costante disorientamento, che ti mette a contatto con la tua musicalità in una forma molto più diretta rispetto a come avviene con gli strumenti.

Nel brano “Messaggio di Gioia”, che ha anticipato l’album, a suonare sono i mezzi pubblici di due città: Milano e Torino, che si scambiano un messaggio di gioia, per l’appunto, ma soprattutto di ecosostenibilità: perché – intendiamoci – se ce ne avvalessimo tutti e di più, ne beneficeremmo probabilmente sotto molteplici aspetti.
Qual è il significato che dai a questo brano?

Per me ha un significato politico, al di là dell’aspetto ideologico della politica: una serie di scelte, che possono avere ricadute positive sulla collettività, passano necessariamente attraverso la riformulazione di tutto ciò a cui dobbiamo essere disposti a rinunciare, in termini di abitudini quotidiane e di piccoli comfort. Proprio lì si va a incastrare e ad allineare alla materia politica.

Io ne so qualcosa perché la mia passione per questi temi mi ha portato a ricoprire il ruolo di consigliere in una Circoscrizione. Mi rendo conto che quando si parla di Torino – che è la città più inquinata d’Italia – secondo una certa mentalità politica, il problema sicuramente non si nega, ma dovrà occuparsene e risolverlo qualcun altro, in un altro momento. Per esempio, noi a Torino non abbiamo diritto a un zona pedonale perché altrimenti i cittadini rischiano di non trovare parcheggio. Tutta una serie di micro-miopie costruiscono un mosaico di scelte sbagliate, ritardate: cose che non riescono a fronteggiare l’emergenza climatica, a cui dovremmo pensare in modo prioritario.

Chiaramente, il brano è una provocazione – gioiosa – e il fatto stesso di farne un pezzo “pop”, per quanto possa definirsi pop una canzone cantata dalla voce del tram e della metro, è proprio lì la provocazione: determinate scelte viziose, che hanno una ricaduta virtuosa sulla collettività e non tanto sulle piccole pigrizie e convenienze personali, sono scelte che hanno un effetto positivo, luminoso, trasformando il modo in cui viviamo in qualcosa di più bello a livello collettivo.

copertina MessaggioDiGioia byMarinoCapitanio
Copertina del brano Messaggio di GioiaUrban Groovescapes (Marino Capitanio)

Mi hanno molto colpita sia la copertina di Messaggi di gioia che dell’album stesso, che, inoltre, è tra le prime in Italia a essere stata creata ricorrendo all’intelligenza artificiale.
Ti andrebbe di spiegarci qual è stato il processo creativo e come si è sviluppato?

Guarda, io non posso che attenermi alle parole che ha utilizzato Marino Capitanio, perché le ho trovate veramente precise. Non sono un grafico e tecnicamente non ho mai visto succedere questa cosa, che comincia a essere sempre più diffusa. Lui la copertina ce l’aveva pronta già un anno fa, è uno dei primi esperimenti applicati alla forma visuale e grafica a cui io abbia mai assistito. Marino Capitanio è un artista visivo con almeno un decennio di attività di alto livello alle spalle, ha sentito che quel tipo di approccio tecnologico fosse in perfetta sintonia con la modalità con cui trasformavo suoni e rumori in brani musicali, attraverso la tecnologia.

Un professionista come lui, che decide di utilizzare una nuova tecnica, lo fa perché stimolato dalla relazione con le tecnologie e tutte le loro possibilità espressive, non perché non sia altrettanto abile con cose più tradizionali. Ha anche intercettato una cosa che io inizialmente non riuscivo a vedere, sono rimasto spiazzato quando ho visto il primo esperimento di copertina (che è molto simile al definitivo): sono sempre stato abituato a immaginare un’estetica urbana con tinte molto più minimali, molto meno colorate. Marino Capitanio mi ha fatto riflettere sul fatto che in realtà la mia città fosse anche una città interiore, che aveva tantissimi colori, anche dal punto di vista della rotondità del ritmo.

Spostava un po’ la consuetudine di leggere la città in modalità opprimente, degradata, alienante, grigia etc. La musica che veniva fuori da Urban Groovescapes – pur avendo la città come unica sorgente – in realtà aveva qualcosa di profondamente diverso. Lui ha voluto sottolineare questa diversità facendola esplodere con i colori, che sono quelli dell’immaginazione: è una città interiore.

Copertina MaxCasacci UrbanGroovescapes web
Copertina di Urban Groovescapes (Marino Capitanio)

Concludo chiedendoti: ormai l’album è fuori già da alcuni giorni, quali sono i riscontri che hai avuto dal pubblico?

Sinceramente non sapevo cosa aspettarmi, infatti cercavo di abbassare di molto la soglia delle aspettative, anche perché Urban Groovescapes è completamente diverso da Earthphonia, pur rappresentandone una continuazione. Earthphonia era musica molto immersiva, dall’apparenza più sperimentale, ovvero quello che ti aspetti dalla descrizione di musica senza strumenti musicali.

Urban Groovescapes è un album pop, quindi poteva essere non capito o capito male, invece mi rendo conto che, a partire dalle recensioni, è stato un disco che sta venendo molto apprezzato. Magari lo è anche perché dà la possibilità di inquadrare la musica da un’angolatura diversa.

Io faccio album con le band, dischi di canzoni e continuerò a farli, per quanti argomenti e concept è possibile sviluppare in un album, finisci a parlare di musica comunque allo stesso modo, intorno agli stessi temi. In questo caso, invece, per ogni brano puoi raccontare una storia completamente diversa: come, ad esempio, mi è capitato di finire in una stanza da solo con Monica Bellucci a farle fare la batteria e il basso!

Quello è di gran lunga il mio brano preferito!

Ti ringrazio! Beh, lì comincia a esserci un come e un perché, che è completamente diverso dalla nascita di qualsiasi canzone più tradizionale… e via dicendo, fino ad arrivare all’ultimo brano, che è Gap the mind, sui suoni di North Londra, con la voce dell’attore Oswald Laurence: in questo pezzo lui muore e sua moglie va a cercare la sua voce ogni giorno nella fermata della metro di Embankment, in un certo momento tolgono la voce del marito e inseriscono la voce registrata meccanicamente. A quel punto la moglie chiede spiegazioni, e solo in quella fermata viene ripristinata la voce del marito…

Insomma, ci sono tantissime cose riguardo ogni brano che raccontano la musica, un approccio musicale e una fruizione diversa rispetto a quella tradizionale. Riconosco che anche questo stia avendo un suo peso. Sono veramente emozionato e contento dell’attenzione riservata a questo album, non me lo aspettavo!

Max, io ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato, in bocca al lupo per l’album. A presto!
Grazie mille davvero a voi, a presto!

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