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La miglior musica al mondo? Quella dei The Dear Hunter

by InsideMusic
The Dear Hunter

Potrebbe sembrare una provocazione. È, invece, quanto di più serio e ragionato possa dirvi. La musica più bella al mondo è quella prodotta dai The Dear Hunter e, incredibilmente, davvero in pochi sembrano essersene resi conto.

La band americana, che vede nel polistrumentista e cantante Casey Crescenzo il suo mastermind compositivo, vede i suoi esordi addirittura undici anni fa con l’album Act I: The Lake South, The River North, primo di una serie di cinque album (anzi, atti) tra di loro concatenati da un unico concept, episodicamente raccontato canzone dopo canzone, album dopo album.

La produzione del complesso di Providence non si ferma però agli atti (quelli su cui andremo a concentrarci), alternati nel tempo da altri album ed ep a se stanti comunque portatori di ottima musica (su tutti Migrant, uscito nel 2013 sotto la Cave and Canary Records).

Una carriera lunga undici anni pregna di musica di qualità, fresca e nella maniera più assoluta ricca di colore e originalità sono ciò che, al giorno d’oggi, rendono i The Dear Hunter il miglior complesso musicale al mondo, in grado di offrire un’esperienza sonora la cui bellezza trascende le gabbie di genere, spaziando in numerosi scape sonori e stilistici mantenendo, comunque, una notevole unitarietà ed organicità.

Prendendo in considerazione solo ed esclusivamente quanto offerto dalla band nel corso dei cinque atti narranti le avventure del “Caro Cacciatore” (di fatto The Dear Hunter è lo strambo nome del protagonista e voce narrante dei pezzi) possiamo facilmente individuare le motivazioni che possono portare ad una dichiarazione così apparentemente sfrontata ed aggressiva.

Al di la di ogni genere…

L’esperienza musicale offerta dai The Dear Hunter trova, tra i maggiori punti di forza, il suo essere quasi interamente slegata da un vero e proprio genere e locazione musicale. Situabili in una linea di confine tra Indie Rock (quello bello) e Progressive Rock, possiamo trovare all’interno delle composizioni elementi di ogni genere. Dal pop più schietto alla musica sinfonica, passando per sonorità dal taglio schiettamente folkloristico a fasi jazzate, swing, alternative e così via.

Il tutto, ovviamente, amalgamato in maniera organica e unitaria. Di rado una band riesce a proporre una così grande varietà stilistica mantenendo, nel corso delle esecuzioni, una propria spiccata personalità musicale, un’unità sonora ed esperienziale.

I The Dear Hunter ci riescono ottimamente rendendo i loro pezzi non solo un viaggio attraverso differenti panorami musicali ma, soprattutto, un coerente districarsi di ambientazioni musicali perfettamente legate alla storia e in grado di creare un’atmosfera, nel complesso, unica e costante fatta di studiati cambi stilistici, arrangiamenti dalla profondità spiazzante nell’intelaiatura strumentale, fasi epiche e corali dove cori e controcanti vanno ad incrociarsi in modo solenne e potente e tanto, tanto altro.

The Dear Hunter

Un’impressionante capacità di storytelling…

 La varietà stilistica, ovviamente, non è fine a se stessa o dovuta ad una banale necessità di mostrare musicalmente i muscoli ma è, anzi, perfettamente serva del racconto. Ogni fase della storia, infatti, vede cucita su di se un’orchestrazione musicale in grado di combaciare alla perfezione con i contenuti. Ci ritroviamo così in panorami swingati a far da sfondo al land cittadino americano dei ruggenti anni 20 o a sonorità marcianti, scandite da fiati e percussioni a rendere l’idea della vita sul fronte nella grande guerra del 15/18.

Infatti la storia nel suo complesso è ambientata proprio nei primi anni del 900, seguendo le vicende di un protagonista che nato orfano di padre scopre la vita in tutte le sue fasi, dal rapporto materno, alla scoperta dell’amore, della sessualità e della corruzione cittadina passando per la guerra, l’immoralità, il crimine, il lutto, la corruzione, la politica e via dicendo.

Il tutto va così a costituire una vera e propria biografia dallo stampo quasi letterario che, come il miglior Grahm Smith ha fatto con Waterland, riesce a raccontare la macroscopica storia del mondo e dell’uomo tramite la microscopica dimensione del singolo e di ciò con cui entra a contatto.

La narrazione, approfondita nei minimi dettagli, ci porta nei meandri della mente e degli eventi coinvolgenti il caro cacciatore che si ritrova così sbattuto a destra e a sinistra dai fatti della vita. La minuziosità musicale con cui ogni fase del racconto viene impostata è impressionante. La musica diviene, realmente, prima di tutto serva del messaggio, del racconto, serva di una storia che riguarda l’uomo e gli uomini offrendo, nelle liriche, toccanti spunti di riflessione riguardanti la vita di tutti i giorni nel micro e macroscopico umano.

Un’esperienza, quindi, che non si limita alla bellezza musicale ma che anzi punta fortemente sulla vastità comunicativa, sulla trasmissione emotiva di un messaggio, di un racconto, così da ripristinare i veri e propri dettami dell’esperienza artistica che, da sempre e per sempre, dovrebbe vedere nell’attenzione al messaggio e al contenuto il focus primario.

 

Musica ricercata e allo stesso tempo orecchiabile.

 Per molti, musicisti e non, la ricercatezza musicale è spesso sinonimo di non orecchiabilità. La sperimentazione e lo studio diventano così, nella concezione dei più, l’antitesi della fruibilità. Concetto, questo, estremamente fallimentare come hanno già in precedenza dimostrato i Pink Floyd di The Dark Side of The Moon, album estremamente ricercato ma dall’alto tasso di fruibilità musicale.

I The Dear Hunter, ancora più che i precedentemente citati mastodonti della musica psichedelica, si rendono letteralmente baluardi incontrastati, nella contemporaneità, di un concetto tanto prezioso quanto importante da riportare alla mente degli ascoltatori.

I pezzi mostrano in se una spiccata raffinatezza e uno studio armonico notevole, mostrandosi spesso con scelte di arrangiamento estremamente elaborate nelle progressioni armoniche che si dispiegano tramite un’orchestrazione strumentale profonda e magistrale dove chitarre, voci, archi, elementi percussivi e fiati vanno ad incastrarsi dando ai pezzi profondità e freschezza. Il tutto viene impreziosito dalle grandi prestazioni vocali di Casey Crescenzo, cantante dal taglio frizzante, potente, duttile, fresco e, soprattutto, estremamente carismatico e teatrale riuscendo a rispecchiare a pieno, nelle sue linee, i momenti del racconto in una sorta di canto dalla grande portata recitativa.

Il tutto, ovviamente, mantenendo un tasso di orecchiabilità, anzi, fruibilità musicale pari a quello di band come i Coldplay di A Rush Of Blood To The Head. Molte delle canzoni hanno un potenziale radiofonico impressionante, scorrono, riescono a non annoiare, a smuovere e a comunicare senza richiedere uno sforzo immane all’ascoltatore, senza disturbare o stuccare i meno allenati e senza annoiare o risultare banali all’orecchio dei più esigenti. Il tutto dotando i pezzi di una carica emotiva pazzesca in grado di toccare le corde più recondite dell’animo.

Così i The Dear Hunter dimostrano come si possa produrre musica ricercata, elaborata, originale e allo stesso tempo fresca, adatta relativamente a qualunque ascoltatore di qualunque genere riuscendo ad accontentare nel complesso chiunque voglia un’esperienza musicale gradevole ma non necessariamente superficiale e blanda.

The Dear Hunter

Tirando le somme…

Abbiamo quindi di fronte a noi un’offerta musicale che trascende i limiti del genere mostrando uno spiccato eccletticismo, in grado di narrare in maniera quasi cinematografica una storia e convogliare dei messaggi profondi e toccanti con musica elaborata ma allo stesso tempo estremamente fruibile a qualunque orecchio.

Originalità, freschezza, ricercatezza, eccletticismo, profondità tematica e studio minuzioso sono le componenti che rendono la musica offerta dalla band di Providence la migliore al mondo.

In un’epoca dove gli uomini si ritrovano ad essere sempre più lontani tra di loro e da loro stessi, in un mondo dove i freddi veli neri della guerra e della solitudine vanno a calare, giorno dopo giorno, sulle teste di tutti. In un panorama dove l’arte sembra ormai divenuta unicamente serva del dio danaro, privata del suo carico comunicativo ed emotivo.

In un tempo dove più nessuno sembra aver più nulla da dire a nessuno i The Dear Hunter offrono noi la via della comunicazione universale, cercando di riunire l’arte musicale omnia sotto uno stesso tetto, emozionando, raccontando, vibrando di quell’energia umana che sembra sempre più manchevole in un dispiegarsi di folle assopite e lobotomizzate dal frivolo, dall’inessenziale, dal selfish e dall’autocelebrativo.

Non è forse musica in grado di offrire tutto ciò la più bella al mondo? Chi, giustamente, dovesse mostrarsi scettico, ascolti, tocchi con mano attraversando tutti e cinque gli atti che compongono quest’esperienza concettuale unica nel suo genere nella storia musicale. Tiri, poi, le sue conclusioni. Intanto, noi altri, possiamo soltanto ringraziare perché, nel nome dei The Dear Hunter, l’arte torna a vibrare ancora una volta come non mai.

Lorenzo Natali

 

 

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