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Supercoppa in Arabia Saudita, la questione si estende anche nella musica

by InsideMusic
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Artisti del calibro di Fiorella Mannoia e Piero Pelù si sono esposti in merito al caso del momento, ovvero la decisione della FGCI di giocare la Supercoppa Italiana in Arabia Saudita. Una scelta discutibile, visto che stiamo parlando di un Paese in cui da sempre vi sono violazioni dei diritti umani.

Il 16 gennaio alle ore 18.30 – in diretta su Rai Uno – si disputerà la finale della Supercoppa Italiana tra Juventus e Milan in Arabia Saudita. E’ questa la notizia che sta facendo indignare numerose persone, soprattutto alla luce di quanto successe poco più di un mese fa, quando i calciatori di tutte le squadre della Serie A furono invitati a segnarsi sul volto il simbolo rosso per la giornata contro la violenza sulle donne. “Abbiamo perso tutti scegliendo di giocare la finale della Supercoppa Italiana in Arabia Saudita, il Paese dei diritti violati”. Si espone così Piero Pelù sulla sua pagina facebook. “Ora la Supercoppa Italiana si giocherà in Arabia Saudita, dove i diritti umani, e soprattutto i diritti delle donne, sono all’ultimo posto della scala dei valori, ma stranamente la condizione dei diritti umani e delle donne saudite non ha mai interessato nessuno”. Prosegue Fiorella Mannoia sul suo profilo. Ma come stanno veramente le cose?

Tuttavia, è un errore affermare che “le donne non possono entrare nello stadio a vedere la partita”. Non è propriamente così. Come si legge nel comunicato del Presidente della Lega Serie A Gaetano Micciché nello stadio di Jeddah:

“Le donne potranno entrare da sole alla partita senza nessun accompagnatore uomo, come scritto erroneamente da chi vuole strumentalizzare il tema: la nostra Supercoppa sarà ricordata dalla storia come la prima competizione ufficiale internazionale a cui le donne saudite potranno assistere dal vivo”.

Infatti le donne potranno entrare nel “settore famiglia”. Ovviamente dal mio punto di vista, da donna occidentale cresciuta in un Paese dove la donna è emancipata – si potrebbe fare molto di più anche da noi, sia chiaro – un solo settore dedicato alla donna mi sembra incivile. Ma quella è la loro cultura, perché a casa mia nessuno mi viene a dire quale musica ascoltare o come mi devo vestire. Non si possono cambiare leggi sedimentate da anni da un momento all’altro. Non possiamo sradicare una cultura con una sommossa web. Ci rendiamo conto che stiamo parlando di un Paese che ancora non ha saputo dirci nulla sulla fine e sui resti del giornalista Jamal Khashoggi. Di un Paese che nel 2016 ha decapitato il religioso sciita Sheikh Nimr Baqir al-Nimr, che si era opposto alle politiche della famiglia governante Saud. Di un’Arabia che fino a qualche tempo fa non faceva guidare la donna e ha incarcerato le numerose attiviste che hanno lottato per vedere quel divieto abolito.

Quello che invece deve far discutere è la volontà – nostra – di giocare una competizione così importante per l’Italia in un Paese così culturalmente distante dal nostro. Una scelta solo per fini economici? Sembrerebbe di si, visto che l’Arabia Saudita “è il maggior partner commerciale italiano nell’area mediorientale”, e quindi fa comodo alle casse della Federazione. Abbiamo utilizzato lo sport, fino a qualche giorno fa con il caso Koulibaly, anche come mezzo per combattere ogni forma di discriminazione – vedesi la nazionale italiana di pallavolo – ma davanti ai soldi ci sciogliamo ancora “come neve al sole”, per citare Pino Daniele. Perché alla fine chi se ne frega se le donne possono entrare solamente nel settore misto dello stadio, l’importante è che la FGCI possa esultare su twitter con: “a gonfie vele la vendita”.

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