Rammstein – uscito il nuovo album senza-titolo [Recensione]

di Giovanni Seltralia

È uscito il 17 maggio per UME/Spinefarm l’album senza titolo, a parte quello di Rammstein, che generazioni di fan aspettavano da un decennio.

Lo zeitgeist è ciò che in italiano andrebbe tradotto come “lo spirito dell’epoca”, o “lo spirito del tempo”. La nozione comporta che, attraverso la produzione artistica, sia possibile riflettere la cultura del tempo in cui vive l’artista: spogliando il termine da ogni eccesso spirituale e mistico, ciò che rimane dello zeitgeist è quell’insieme di logiche e fratture che l’artista riesce a individuare in una società.

Qui e qui abbiamo già parlato dei primi due singoli estratti dall’ultimo album dei Rammstein.
A livello compositivo prettamente musicale, si trovo poco di nuovo rispetto alle tempeste e agli impeti cui la band ci ha abituato negli anni. Di fatto, il pubblico non avverte alcun bisogno di cambiamento da parte di una delle colonne portanti del metal europeo: il messaggio è tutto rinchiuso nelle parole, nella recitazione delle preghiere su tappeti di strumenti martellanti, nella teatralità della messa in scena. Un linguaggio musicale che rimane saldo ai suoi cliché permette al messaggio di arrivare con più efficacia, esattamente come il filo che offre meno resistenza trasporta più corrente.

Ciò che non è cambiato, rispetto a Liebe ist für alle da di dieci anni fa, è il ruolo della band di Lindemann nel game: essere la coscienza sporca della Germania e dell’Europa intera, sentire il polso dello spirito della nostra epoca, individuare le fratture in quella che è solo apparentemente una società liquida.
Per questo non stupisce che sul muro di power chord granitici, Lindemann intoni un inno di odio e amore verso il suo paese, che ricorda la Germania, pallida madre di Brecht, con un testo che in italiano risuona più o meno così:

Germania! Il mio cuore in fiamme
Voglio amarti e maledirti
Germania! Il tuo respiro freddo
Così giovane, e tuttavia così vecchia
Germania!

Dopo un primo brano che ripercorre le fasi oscure del paese, e dopo un secondo incentrato sulla propaganda, si può fare la prima considerazione: non si tratta di metal storico à la Sabaton; il passato è una scusa per affrontare le questioni dell’oggi.

Il terzo brano, Zeig Dich, entra di petto in un’altra questione controversa: l’ipocrisia della religione e del suo configurarsi come strumento di potere. Mostrati, dice il titolo, rivelati per ciò sei in realtà. È il campo semantico dello spettacolo, della finzione, perché questo sono gli attori del teatrino ecclesiastico: chi vieta la contraccezione, chi promette punizione ai peccati, è lo stesso che mente in nome di Dio, che condanna i bambini, che abusa della sua posizione.

Mostrati
Nessun angelo nel momento del bisogno
Nessun dio si mostra
Il cielo si colora di rosso

Musicalmente si tratta di uno dei punti più alti dell’album: l’introduzione è offerta da un coro gotico in pseudo-latino; le ritmiche sono dissonanti e piuttosto inusuali per il duo Kruspe e Landers. La struttura è invece quella rodata, compreso il climax finale da brividi: dopo un breve bridge in cui ricompaiono i cori iniziali, il refrain finale è un crescendo di voci e pad synth immersivi.

Nell’epoca delle questioni migratorie, i Rammstein non hanno paura di affrontare il tema dell’Ausländer, lo straniero. In chiave ironica, questa volta, sottolineando quell’aspetto per molti fastidioso in cui lo straniero genera fascino nell’altro sesso, con i suoi bagagli e le sue lingue esotiche (Sono a casa dappertutto/la mia lingua è internazionale).
Ancora una volta, ripensando alle ormai lontane critiche di filo-nazismo ai tempi di Herzeleid, viene soltanto da ridere dell’ottusità umana. E ancora una volta, l’artista sente il polso dei tempi e lo riporta nelle sue canzoni, rispondendo alla sua sensibilità e a nient’altro.
Sciao ragazza di Till conquisterebbe anche le nazionaliste antitedesche più sfegatate “de casa nostra”.

In Pussy avevamo visto una bandiera tedesca sventolare nel bel mezzo di un film porno dalle dubbie capacità ristorative. In Sex si porta avanti quello stesso approccio romantico, che non sarà proprio erede dell’amore cortese, ma raggiunge le sue vette di poesia:

Meglio disgustoso che niente
Viviamo una volta sola
Amiamo la vita
Amiamo l’amore

I riff suonano più californiani, forse in ottemperanza della tematica scanzonata. Alcuni fill di batteria e i piani elettrici del Doktor Flake ricordano spudoratamente Pussy, ma va bene così.

La copertina dell'album Rammstein.

Puppe, bambola, è il primo momento di pausa. L’arpeggio permette alla voce del cantante di tessere un testo raffinato, che richiama i brani incentrati sull’infanzia degli album precedenti (su tutti, Mutter). Il ritornello gridato ai limiti della dissonanza trasforma poi un racconto sussurrato di clausura domestica in una storia di disagio e violenza. Cosa succede di preciso alla Schwesterlein? Sicuramente niente di buono.

Was ich liebe apre la seconda parte dell’album, quella finale, in cui le liriche sono definitivamente virate verso l’interiorità. Subito dopo l’introduzione à la Hoobastank, si riprende a carburare: il ritornello è intenso, incentrato sulla bipolarità della coppia “amore e morte”. È almeno dai tempi del Werther che la lingua teutonica racconta l’amore come un sentimento bruciante e assurdo, passando per il Liebestod (la “morte d’amore”) del Tristano e Isotta di Wagner:

Ciò che amo, andrà in rovina
Ciò che amo, deve morire, deve morire
A felicità e gioia
Seguono tormenti
Per tutte le cose belle
Si deve pagare

Diamant è precisamente la punta di diamante che un ascoltatore spera sempre di trovare in un album dei Rammstein. Riesce a pareggiare quella ballad di rara bellezza che aveva titolo di Ohne Dich, e ribadisce la delicatezza che può raggiungere un metallaro di un metro e ottantacinque a quattro ante quando apre il cuore e tira fuori il miele.

Sei bella come un diamante
Bella da guardare come un diamante
Ma per favore lasciami andare
Che forza, che splendore
Meravigliosa come un diamante
Ma solo una pietra

Si va verso la chiusura, in cui predomina il liricismo. Weit Weg apre con i synth dal flanger pesante del Doktor, e continua con un’altra dose di metafore tra il romantico e l’orrorifico. Non stupisce più, a questo punto, l’ammirazione del regista David Lynch per i ragazzoni tedeschi. Tattoo è invece quella che si può definire in tutti i sensi una canzone dei Rammstein: le ritmiche rimandano ai tempi di Bück dich, Links 2,3,4, eccetera.

Hallomann chiude definitivamente il cerchio. L’amore diventa qualcosa di malato, sfocia nel proibito. Quello che suona come il ritornello più smielato dell’album, nasconde forse il vero mostro che risiede nel cuore dell’uomo: chi è l’Hallomann? Un mostro, un maniaco, o probabilmente tutti e due?

Ciao piccola ragazza, come stai?
Canta per me, dai, canta
Perla sull’anello
Balla per me e poi
Verrà da te l’uomo che saluta

L’assolo di tastiere è delirante, riporta alla mente il finale distruttivo di Keine Lust, e anticipa il fade out che chiude l’album. Nota breve sulla produzione: mix e master sono tra i migliori disponibili nel continente, l’impatto è talmente efficace da lasciare spaesati alla fine del viaggio. Non ci sono dinamiche, certo, ma la guerra della loudness in Europa la vincono senza dubbio loro.

In definitiva, preme una considerazione: in un tempo di barbarie crescente come il nostro, l’approccio estremo, la fisicità esagerata, l’ambiguità morale e sessuale, l’ironia dei Rammstein, possono davvero rappresentare una soluzione. Serve intelligenza anche quando ci si trova costretti a ribadire concetti ovvi, come la critica alla propaganda e al perbenismo, come la condanna dell’intolleranza e dell’ipocrisia. E soprattutto serve sensibilità, uno sguardo che non giudichi, quando si vogliono descrivere le contraddizioni del tempo in cui viviamo. Speriamo che, a differenza di quanto dicano i rumor, non si tratti dell’ultimo album di sempre dei nostri ragazzi, perché abbiamo bisogno dei Rammstein.

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