Che Cesare Cremonini, fondatore dei Lunapop, sia una certezza nella musica italiana è assolutamente fuor di dubbio. Possibili Scenari ne è l’ennesima conferma.
I Lunapop, quelli di 50 Special, di Qualcosa di Grande: quelle canzoni scolpite in maniera indelebile nell’immaginario collettivo dei primi anni ’00, così come Squerez tutto e la rana sulla copertina. Della carriera solista, prevalentemente successi, in quanto tutti gli album risultano essere certificati platino: Cesare mette in mostra le sua capacità come pianista, crea singoli storici come Marmellata #25, poesie come Il Pagliaccio, musica dal gusto americano come La Nuova Stella di Broadway e Share the Love. Infine, nel 2017 esce il singolo Poetica, che anticipa l’album Possibili Scenari, da cui è partito il tour durante quest’anno.
Partiamo dalla scelta del titolo. Un cantautore di talento ed affermato, teoricamente, non avrebbe bisogno di reimmaginarsi, di inventare nuovi paesaggi per il suo destino: eppure Cremonini lo fa. Con Possibili Scenari si immerge nei “se”, nei forse, nei sogni ad occhi aperti, e nelle dimensioni parallele. Ecco. È proprio la dimensione parallela, le strade che mai si incontreranno, senza wormhole a collegarli, il filo rosso che percorre tutto l’album e lo unisce. È proprio la scelta del tema che rende l’album estremamente sofisticato, complesso da analizzare e comprendere, ma che più di ogni altro ci fa conoscere Cremonini nella sua essenza più personale ed adulta, sebbene filtrata da licenze poetiche. Del resto, parlare di sé senza farlo direttamente è il modo più semplice e migliore, il meno imbarazzante.
Partiamo dalla title track, prima traccia dell’album, l’omonima Possibili Scenari. Parte elettronica, voci registrate in sottofondo, archi, nella commistione synth e classico che è tanto di moda nel cantautorato moderno: racconta della finitezza dell’uomo, dei limiti non riconosciuti, e dei mille modi che l’umanità trova per alleviare la solitudine. È una traccia malinconica, fatalista, in cui influenze rock e chitarre elettriche si mescolano alle ritmiche synth anni ’70 degli ultimi Beatles (un certo Sgt Pepper vi risuonerà nelle orecchie per tutto l’album). Il testo è ricco di allegorie, di visioni dal gusto cyberpunk. Il finale, meramente elettronico, guida a Kashmir-Kashmir: un allegro opening di pianoforte jazz uplifted cui segue una ritmica funky un po’ Daft Punk degli ultimi tempi, e la voce inizia a cantare di un amante della musica pakistano, un cittadino del mondo, che canta Pharrell ma viene visto, per il suo aspetto, eternamente come un terrorista. “Non sono un mujaeddin, ma nel cuore porto il fuoco del Kashmir”. Un’etnica commistione ballabile di jazz, funky, pop contemporaneo che si cala nel punto di vista, sempre poco analizzato, di ciò che noi occidentali vediamo come “diverso”, un viaggiatore arabo e cosmopolita come fu Ibn Battuta nel Medioevo. Una hit nata.
Poetica, terza traccia, è stato il singolo di lancio. Una ballad splendida, hollywoodiana pre-riforma, dai colori in bianco e nero, da Grande Gatsby di cui conserva la malinconia e l’illusione: l’amore da salvare per la donna amata, (“anche quando poi saremo stanchi troveremo il modo per navigare nel buio”), e sembra quasi di vedere Gatsby galleggiare, morto, in piscina. Puramente bluesaggiante, ospitante il theremin (strumento che si suona senza contatto con esso, ma basato soltanto su vibrazioni sonore) priva di arrangiamenti elettronici, ma solo archi e percussioni. Complessa e cupa, maschera dietro il romanticismo una desolazione Schopenaueriana, terminando con un arpeggio di piano classico.
L’album è ricco di spunti colti difficili da cogliere, ed estremamente articolato. La compostezza di Poetica svanisce e si passa a Un uomo nuovo: appare il tema della dimensione parallela, portato avanti anche dalla menzione della “luna di giada”. Nel romanzo cult 1Q84 di Murakami Haruki si sprofonda nella dimensione parallela, proprio, quando in cielo appare la luna di giada. Si torna alle ritmiche elettroniche e alle machine drum delle prime due canzoni, con una buona semplicità compositiva che fa sì che il testo risalti. Depeche Mode anni ’80, effetti synth limpidi e non distorti: ritornello in un’unica nota, cui si aggiunge poi un arpeggio di chitarra acustica. La canzone è una profonda critica al narcisismo e alla superbia: ma tu credi davvero che per volare basti un grande salto?
La vera perla dell’album è, però, Nessuno vuole essere Robin. La spalla di Batman, per chi non lo sapesse. Il più delle volte, nei fumetti, si tratta di ragazzini orfani come Bruce Stesso, raccolti ed allevati per essere eroi. Effetti elettronici, come gocce di pioggia e fiati eterei: il grigiume della vita dell’uomo comune, il cane, Facebook, le sciocche litigate fra amanti, e la solitudine che comporta la convinzione di essere eroi. Nessuno è Batman, fra noi, ma siamo tutti Robin, per quanto ciò ci faccia soffrire. La traccia è delicata, ai fiati elettronici si aggiungono gli archi di riempimento, che, con la strofa, portano di al refrain, che non è altro che una feroce critica alla società moderna, ipercomunicativa dei social network (senza, in realtà, dir nulla) e dedita al culto degli hashtag. Ma, in fondo, tutti sbagliamo i rigori: solo in una dimensione parallela possiamo essere il Cavaliere Oscuro.
Silent Hill, nota saga di videogiochi giapponesi horror, è basata sull’interconnessione fra diverse dimensioni parallele, tutte ugualmente terrificanti. In una, un orrendo mostro chiamato Pyramid Head insegue il protagonista armato di un’enorme mannaia da macellaio, assieme a infermiere senza volto. Senza il suono della sirena, è impossibile uscire da una dimensione, per tornare a quella “reale”. Traccia ancora elettronica, ma con qualche spunto rock, fra cui chitarre acustiche e batteria, stavolta, vera. Quasi grunge, un po’ interrogativa, nella moltitudine di Possibili Scenari: se non si conosce se stessi, non si ha realmente paura, perché è proprio tramite la paura che si conosce se stessi. Di nuovo, rimandi su rimandi: oltre alla citazione videoludica, le colline che sussurrano rimandano ad un racconto di Lovecraft. Le colline sussurranti dietro Arkham, che richiamavano gli abitanti e li portavano all’illuminazione o alla pazzia. Il sussurro appare nella seconda metà della canzone, come un flusso di coscienza. La falsa allegria del testo, il gusto rock classico, contrasta con la claustrofobia del testo: “non puoi scappare, i tuoi fantasmi cercano te”.
Un netto contrasto è dato dall’incipit della traccia seguente, Il Cielo era Sereno. Un classico opening di archi assieme al pianoforte, cui si aggiunge chitarra e batteria leggera. Un racconto molto personale, molto delicato: gli arrangiamenti ricordano un Cremonini non di Logico, ma de La Teoria dei Colori. Tutto ciò cozza fortemente con l’energia ed il pathòs delle altre tracce, in quanto, sebbene la traccia risulti gradevole, è estremamente fuori luogo, e probabilmente sarebbe stata adatta ad un altro tipo di album, meno complesso.
La Isla, terzultimo brano di Possibili Scenari. Chitarra hawaiana, gusto da spiaggia, hit estiva. Ritmata, percussioni leggere, il racconto di un’estate non vissuta pienamente e non condivisa con una ragazza, protagonista della canzone: un’isola che è un paradiso che non esiste se non nei sogni. Echi lontani, in una traccia che potrebbe essere di Bennato, folk, tutta occhiali da sole macchiati di salsedine. Altra traccia sottotono, rispetto all’album intero, di cui conserva il filone, ma manca della capacità evocativa degli altri brani.
Nacchere spagnole guidano alla fine e Al Tuo Matrimonio. Si torna all’elettronica: la marcia nuziale suonata col sintetizzatore, leggermente distorto e leggermente fuori sincro. L’amante cantata in Poetica ha sposato un altro, evidentemente. Ed in una felice ballad, Cremonini racconta la sua masochista vendetta. Presentarsi ubriaco alla festa, l’estrema ipocrisia del rimanere amici di chi, un tempo, si è amato: la scelta di lei che, crea, appunto, una dimensione parallela, la creazione di due filoni temporali che non possono coesistere. La traccia è alla Morrissey, è il delirio di un ubriaco, è il contrasto fra ciò che sarebbe potuto essere se lei l’avesse scelto, e ciò che è realmente accaduto. Ricorda un po’ Gazzè, ma, più di tutto, sembra di vedere Dustin Hoffmann nel Laureato che batte sulle vetrate della chiesa, implorando la sua amata di scegliere lui. Una ballad estremamente divertente ed orecchiabile, radiofonica al punto giusto: musicalmente basata sugli accordi di una classica marcia nuziale.
L’ultima traccia di Possibili Scenari è la suite La Macchina del Tempo. La voce di Cremonini è totalmente protagonista, ispirata, nella traccia probabilmente più bella dell’album: è un Renato Zero moderno. È il ricordo di memorie forse immaginate, sbiadite ma vivide nell’ubriachezza e nei colori di ciò che rende felici: l’amata è ancora con lui, in quel mondo parallelo. Il pop è divenuto barocco, è pianoforte, è chitarra elettrica distantissima, ed è cambi di ritmo ed ascese emotive: la vena cantautoriale di Cremonini è tutta qua. È qua il salto di qualità. L’ending strumentale di oltre due minuti è magistrale, struggente, evocativo, e crea un senso di stacco etereo, di nebbia del tempo, con xilophono e archi.
L’album Possibili Scenari segna un netto stacco con la produzione precedente di Cesare Cremonini: eppure, forse, se avesse osato poco di più, ci saremmo trovati di fronte ad un capolavoro della musica italiana. C’è ispirazione internazionale, c’è ricchezza stilistica e, soprattutto, letteraria, ma l’opera, in sé, risulta poco coesa e, ad un orecchio poco attento, poco comprensibile nella sua profondità. Se si eccettua il tema del sogno e della dimensione parallela l’album vive di picchi ed eccellenze, non di omogenea qualità. Si tratta comunque di un Cremonini in eterna ascesa, che sembra essere vicino alla quadratura del proprio cerchio: è un album intimo, un album della maturità, evocativo in La Macchina del Tempo, Kashmir-Kashmir, Poetica, ed Un Uomo Nuovo. Una menzione d’onore merita, come sempre, la produzione strumentale, assolutamente perfetta ed eccellente, grazie anche alla scelta di impreziosire l’album con l’utilizzo del theremin.
Possibili Scenari la sublimazione del sogno comune: la realizzazione di un mondo simile al nostro, per forme e colori, ma in cui noi siamo vittoriosi.
VOTO= 7,5/10
Giulia Della Pelle

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