Lunedì 15 Aprile i Pinguini Tattici Nucleari hanno suonato a Milano, accolti da un Alcatraz andato in sold out. Vi raccontiamo come è andata.
I Pinguini Tattici Nucleari sono la classica band per la quale è quasi impossibile confondersi: o la si conosce (e la si ama) o la si ignora, non sono ammesse vie di mezzo.
Il loro universo musicale, per quanto vasto e variegato, pieno di riferimenti tra i più diversi (dal pop inizio anni 2000, al cantautorato italiano, al prog metal, e molto altro), riesce ad essere incanalato in delle sonorità talmente iconiche, grazie anche al peculiare andamento narrativo dei testi, che permette alla band di essere riconosciuta fin dai primi secondi di ogni canzone.
E così come per la loro musica, questo è valso anche per il live di ieri sera: il pubblico era fra i più vari che si possano trovare ad un concerto, sia anagraficamente, sia stilisticamente, sia per l’atteggiamento, e, nonostante ciò, il senso di unità e fratellanza reciproca era palpabile.
Forse il merito è da attribuirsi all’atmosfera particolare, a metà fra la gioia sfrenata di una festa e la nostalgia di un ricordo felice e lontano. O forse sarà stato grazie a tutte le piccole conversazioni di introduzione ad ogni canzone. Fatto sta che la grinta energica dei Pinguini Tattici Nucleari, anche per la fantastica accoglienza del pubblico, ha finito per contagiare tutti.
La complicità non è qualcosa di casuale. Esistono band che riescono a creare ex novo, in modo istantaneo, una speciale chimica con il pubblico. Ma credo che nel caso dei Pinguini Tattici Nucleari la ragione della straordinaria empatia con il pubblico sia diversa, più lontana, forse persino più meritevole. Tutte le loro canzoni hanno la rara capacità di aprirsi all’ascoltatore in modo assolutamente sincero. L’empatia fra artista e ascoltatore si crea già al primo ascolto. Una ricerca di legami, anche intimi, con il pubblico che in fondo è parte della poetica dei Pinguini, spiegata da Zanotti stesso. L’idea che l’artista, l’idolo, a volte persino il supereroe (nel caso di Freddie Mercury o di Kurt Cobain, da lui citati) debba essere trattato principalmente come uomo, come “uno di famiglia”, rivelandosi così molto vicino, proprio in virtù del suo essere universale, e universalmente condiviso.
Per cui, anche tutte le persone alla prima esperienza di un concerto dei Pinguini Tattici Nucleari (ed erano parecchie, stando alle alzate di mani chiamate dallo stesso Zanotti per tastare la “longevità” del pubblico), è come se fossero arrivate già pronte. Come se conoscessero già ogni movimento della band in controluce rispetto alle grafiche proiettate sullo sfondo. Se già sapessero dello scherzo riguardo il finale anticipato. O se già avessero visto il kimono di Zanotti indossato durante “Sashimi“, oppure l’irruzione della mascotte sul palco (un uomo travestito da pinguino, come la miglior tradizione americana della mascotte insegna).
Il tutto ovviamente senza però perdere un briciolo di stupore: uno splendido, sorprendente Déjà vu.