Nati artisticamente a Parigi nei primi anni ’90, nella stessa scena che ha visto formarsi, tra gli altri, i Daft Punk e gli Air, sfoggiano un elettropop/rock incalzante, allegro. Le tre band, tre interpretazioni diverse dello stesso filone musicale, hanno fatto sì che proprio l’elettronica d’oltralpe, così raffinata per orecchie abituate a quella made in USA, giungesse ovunque e con grande successo. I Phoenix, non per niente, si sono formati a Versailles, e sono caratterizzati da un sound vezzoso e divertente, vario ma sempre ballabile e leggero.
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Il grande successo è cominciato dal primo album, United, uno dei cui singoli, If I ever feel better, è stato incluso nella colonna sonora di Lost in Translation, film che lanciò Scarlett Johansson nell’ormai lontano 2003. Da quel momento in poi, la strada è spianata verso il successo: inanellando una serie di album azzeccati, da Alphabetical del 2004, da cui Victim of the crime fu scelta come colonna sonora della campagna pubblicitaria di Christian Dior; a It’s never been like, col primo tour in terra americana e trascinato dalla nota Long distance call; col coloratissimo e accattivante Wolfgang Amadeus Phoenix fu invece inaugurata l’epoca, per i Phoenix, dei concept album. Il 2009 è un anno di svolta per i Phoenix, che raffinano ulteriormente il loro sound trovando un’identità con 1901, brano retrò dedicato ad una Parigi scomparsa che i giovani artisti conoscono solo per vecchissime foto e film in bianco e nero. Schitarrate presenti e sorrette da apparato melodico impeccabile: l’album è pieno, stratificato, ricco di charme elettronico. Il synth di Laurent Brancowitz da il meglio di sé con canzoni che sembrano fatte per essere ritornelli catchy da pubblicità, motivetti da canticchiare senza però conoscere il nome della meritevole band. Il numero degli effetti acustici utilizzati aumenta, assieme alla complessità strutturale delle canzoni: la semplicità ballabile è sacrificata in nome di modulazioni complesse ma comunque gradevoli. Nel 2010 presenziano anche al prestigioso David Letterman Show, rendendosi così noti anche al pubblico statunitense. Nel 2013 esce infine Bankrupt! (sì, proprio con il punto esclamativo finale), il cui sipario si apre con Entartainment, atmosfere sudcoreane esotiche; il singolo (praticamente K-pop) è anima stessa della band ora evoluta dai tempi del garage del cantante Thomas Mars. Ancora una volta, colonna sonora di un film, Now you see Me. Eppure l’album complessivo appare sottotono, come un Est Est Est di Montefiascone paragonato ad un Nero d’Avola IGP: facile da bere, facile da capire, facile ubriacarsi, ma il mal di testa del giorno dopo, puntualmente presente, ricorda che la sbornia da vino da taglio è sempre la peggiore. Forse deriva dalla serenità e felicità proprio di Thomas Mars, sposatosi con Sofia Coppola, forse dal Grammy vinto grazie a Wolfgang Amadeus Phoenix.
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Per la promozione del nuovo album, dal curioso titolo, inno all’Italia, i Phoenix saranno in tour mondiale fino a novembre. Come sarà questa nuova fatica, TI AMO?
Una menzione va fatta alle circostanze che hanno ispirato la composizione dell’album, un fulgido esempio di quanto la musica sia in grado di stravolgere e vedere il bello anche in situazioni tragiche. Mars ha dichiarato che TI AMO è stato concepito successivamente all’attentato al Bataclan, proprio per cercare, per se stessi e per la Francia tutta, la luce che quella tragedia pareva aver spento, il frizzante perduto, il colore dimenticato. E dove meglio andare a cercare, quella luce, se non nell’Italia ideale di Fellini, di Battisti, del gelato fiordilatte le sere d’estate e negli occhi di un bimbo in vacanza nel Belpaese? Inoltre il padre del chitarrista Mazzalai è trentino e, a detta del figlio, a casa sua a Parigi si vede un solo canale, Rai 1. Infine, l’ultima parola dell’album è Passoscuro: gli abitanti di Fiumicino potranno ritenersi soddisfatti.
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Arriviamo all’Ippodromo delle Capannelle attorno alle 21:00 e l’arena non si presenta ancora gremita come all’arrivo dei Phoenix: sul palco, inoltre, ci sono già gli Yombe, un duo italiano elettropop/new soul, con la bella e brava Cyen che canta da diva d’altri tempi ed il compagno Alfredo Maddaluno che sciorina effetti synth e console che include anche batteria elettronica. Sono bravi, Cyen è emozionatissima e si confonde sull’ultimo pezzo, ma come prova al Rock in Roma possono considerarsi promossi.
Da lì un lungo intermezzo di attesa durante il quale siamo deliziati con indimenticabili canzoni di Lucio Battisti (a quanto pare molto apprezzato dai Phoenix, che ne fanno menzione nell’album TI AMO, insieme a Battiato, gelato e prosecco), tra le quali Ancora tu, niente di meglio per preparare il pubblico al tema che seguirà. Nel mentre, il parterre inizia a riempirsi e per le 21:30 siamo sulle duemila persone.
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Finalmente qualche minuto prima delle 22:00 arrivano sul palco i Phoenix, stravaganti e coloratissimi. Il cantante Thomas Mars sfoggia una camicia hawaiana a fiori, il bassista/tastierista Deck D’arcy un look uscito direttamente dagli anni ’70, con tanto di occhiali a specchio marroni; il chitarrista Christian Mazzalai una camicia dal delicato color salmone, Laurent Brancowitz, tastierista e secondo chitarrista ad interim, una giacca di pelle gialla totalmente fuori stagione. Nelle retrovie, il batterista semi-permanente (per quanto abbia registrato ben poche canzoni di TI AMO con la band) Thomas Hedlund letteralmente mena ad una batteria i cui timpani e tamburi sono di una delicata quanto chic plastica trasparente; infine il tastierista dei tour, Robin Coudert, capelli lunghi e barba incolta da buon samaritano, si occupa dei suoni synth e delle percussioni secondarie.
Come negli album studio dei Phoenix, si parte col botto, con la hit di TI AMO, la traccia omonima: c’è un boato del pubblico dopo la lunga attesa. Tutti si scatenano e subito si nota la differenza di sound che c’è fra le versioni studio e quelle live. Il suono è pieno, totalizzante, la batteria più presente fa il suo sporco lavoro nel dettare il ritmo e i suoni sintetici appaiono più potenti, complice anche l’ottima amplificazione.
A TI AMO segue Lasso, singolo di Wolfgang Amadeus Phoenix, altra canzone conosciuta della band, incredibilmente orecchiabile e trascinante: ci si ritrova ad agitarsi a tempo di musica senza sapere perché. Thomas Mars è sorprendentemente bravo a tenere il palco, gioca col cavo del microfono e se ne apprezza la voce pulita.
Tre minuti passano in fretta e ci si ritrova catapultati nel tripudio elettronico e orientaleggiante di Entartainment: il ritornello non c’è bisogno sia cantato da Mars, ci pensa il pubblico.
Hit si susseguono ad hit, in una felice scelta della scaletta: è la volta di Listzomania ed il furore dei duemila di Roma assomiglia a quello dei fan del compositore ottocentesco; di nuovo da WAP, album che anche i Phoenix riconoscono essere il loro capolavoro. La versione live è emozionante, Mazzalai suona scomposto la chitarra, muovendosi qua e là per il palco, tutto il pubblico canta il refrain. Finora lo show è impeccabile.
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J-boy inizia poi con un assolo di tastiera di Brancowitz e Coudert: si parla di piccoli furti, di ruberie di inezie e di conseguenze non sperate. Canzone gradevole, ma che in confronto all’energia delle precedenti tracce perde un po’ di spessore.
Trying to be cool è la prima traccia scelta per il concerto da Bankrupt! Il palcoscenico si riempie di tutti i colori dell’arcobaleno, la musica e la voce di Mars volano leggere come una nuvola ed è tutto allegro e fiorato.
Segue Role model, estratta da TI AMO, brano elegante e frizzante, dance al punto giusto, che parte piano e le tastiere assomigliano ad una colonna sonora da matrimonio anni ’80: il ritornello è orecchiabile, rimane in mente, e Mars canta divertito l’ironia di voler diventare un modello per un uomo. Gli effetti synth sono qui estremamente presenti e spadroneggiano, il batterista si riposa un attimo. E subito ci si ritrova immersi in Girlfriend, di nuovo da WAP: il suono torna ad essere pienissimo, ricchissimo; si distingue il gran lavoro del bassista e le belle accelerazioni ritmate dalle percussioni. Via sanskrupt è invece un medley di Bankrupt! e Love you like a sunset I e II: parte lentamente, il piano ricorda gocce di pioggia che cadono, e il fumo colorato riempie il palco. Le figure dei musicisti sembrano spettrali, illuminate e contrastate: il brano è in crescendo, spaziando fra varie epoche di synth, passando dalla dance anni ’80 all’ambient anni ’90. interamente strumentale, Mars non canta che alla fine per suggellare la fine della deliziosa suite.
Si riparte fortissimo con la hit If i ever feel better e sembra un ritorno all’inizio del concerto: si balla, si canta, ci si agita ed il chitarrista torna a suonare scompostamente, Hedlund si alza in piedi e prende con cattiveria a bacchettate i piatti ed il charleston. Il bassista riempie bene il suono e lo rifinisce. Insomma, ci si diverte. E si prosegue con Armistice, traccia tratta ancora da WAP, dance ma con ampie presenze delle chitarre.
Mars si prende poi una pausa per dedicare alla città eterna la successiva canzone, Rome, incredibilmente orecchiabile mentre narra il crollo di un impero visto da un turista ubriaco che fuma una sigaretta. È anni ’80 fino al midollo, il bridge synth è trascinante ed il pubblico è in delirio mentre si grida Rome, Rome, Rome.
Si rallenta con Countdown: Mars scende fra la folla e canta con essa, solamente Christian e il tastierista suonano. È un momento intimo, rilassato, quasi tenero. Mars sembra un ragazzino mentre canta, tanto è appassionato.
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Siamo agli sgoccioli. Attacca Fiordilatte, traccia da TI AMO che italiana più italiana non si può. È divertente, parla di un’Italia idilliaca e di come un bel gelato possa risolvere tutti i problemi di coppia e solitudine (assieme a metafore un po’ spinte tipo “give me your fiordilatte”).
Infine, parte la tanto attesa 1901, personalmente il brano che preferisco di tutta la serata. È una melodia che fa viaggiare, che fa immaginare strade notturne illuminate dalla luce dei lampioni, che siano ad olio o lampadine al neon. Gli effetti scenici sono bellissimi: non poteva essere scelta chiusura migliore.
1901 finisce fra gli applausi e le grida felici del pubblico e riparte il chorus di TI AMO: Thomas fa crowd surfing sul pubblico. Accetta birra a destra e a manca, mentre sul palco gli altri musicisti continuano a suonare imperterriti.
E poi, è tutto finito. Thomas torna sul palco, saluti, baci, bacchette e plettri lanciati e tutti a casa. La folla vorrebbe un bis, ma non c’è niente da fare. Riesco a fare una foto alla setlist ufficiale, rubacchiata da qualcuno dei tecnici.
Nel complesso, è stata davvero una bella serata: i Phoenix portano luce e allegria ovunque vadano, col loro suono che fa ballare chiunque, la voce acuta di Mars ed i suoni synth uplifted e mai, mai, mai cupi. Se il loro intento era divertire, far rilassare, beh, ci sono indubbiamente riusciti. Si rivelano essere una band ottima anche dal vivo, in grado di stilare scalette che tengano sempre al massimo l’attenzione del pubblico, di interagire con esso. Un’unica pecca, sempre la stessa, da qualche anno a questa parte: la durata. Un’ora e dieci di concerto è davvero poco, ma si sono fatti di sicuro perdonare vista la densità e la qualità della performance.
Alla prossima, Thomas Mars &Co!
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Report Giulia Della Pelle/Gallery Andrea Cavallini

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