Ospite del terzo appuntamento di Gioved-INDIE è Gianluca Massaroni, in arte Massaroni Pianoforti. Il “cantautonomo” di Voghera è stato uno dei primi artisti a tentare la strada del crowfunding per realizzare un disco, dopo la deludente esperienza con Eros Ramazzotti. Proprio stanotte si è conclusa la raccolta fondi sulla piattaforma Musicraiser per la produzione del suo nuovo album e noi di Inside Music abbiamo l’onore di essere i primi a diffonderne i risultati.
Ciao Gianluca, benvenuto nella nostra rubrica del giovedì più indipendente del web, Gioved-INDIE, domanda introduttiva generale: cos’è per te l’INDIE e cosa si mantiene ancora INDIPENDENTE?
Ciao Lorenzo, guarda io non credo neppure di farne parte, però mi sento indipendente, i miei dischi son nati da una raccolta fondi in maniera autonoma, quindi mi definirei indipendente e non indie. Lo spirito indipendente significa non essere schiavo delle logiche del mercato, delle mode del momento. Ovviamente il fine è anche quello di arrivare a quanta più gente possibile perché puoi essere indipendente quanto vuoi ma alla fine comunque si tratta di un lavoro. La gratificazione non è tanto il successo ma il fatto che le persone capiscano ciò che stai facendo e cercare di entrare nei loro gusti.
Raccontaci un po’ le tue origini. È vero che hai maturato la scelta di intraprendere la carriera musicale mentre svolgevi la professione di accordatore di pianoforti nell’azienda di famiglia, è stato proprio quello il tuo primo approccio con lo strumento?
Io sono nato in un negozio di musica, ma volevo fare tutt’altro, infatti ho compiuto degli studi totalmente diversi, mi sono iscritto al politecnico di Milano ad architettura…insomma non ho mai avuto le idee chiare sul mio futuro. Da bambino inconsciamente canticchiavo canzoni ma mi sembrava scontato ricavarne un lavoro e credevo fosse dettato dal fatto di vivere in mezzo agli strumenti. Poi in adolescenza sono andato oltre le mie aspettative, ho capito a cosa serviva la musica, mi è venuta in soccorso ed ho capito il suo vero valore, prima invece la snobbavo. Non mi definisco un musicista, non saprei neanche come realizzare delle cover, ho imparato a suonare da solo sperimentando ed ascoltando il suono delle parole che avevo in testa per trasformarle in musica. Adesso suono diversi strumenti, ma questo non significa necessariamente saper scrivere canzoni.
Com’è nata la collaborazione con Eros Ramazzotti e in che modo Eros è venuto a conoscenza della tua arte?
Nel 2006 vinsi il Musicultura Festival, aggiudicandomi il Premio della Critica e quello come miglior testo. Spinto dall’entusiasmo, iniziai anche a suonare nel locale milanese Casa 139 frequentato da diversi cantanti e musicisti. Venni a sapere che Alessio Bertallot, conduttore di B-Side a Radio Deejay, ascoltava artisti emergenti indipendenti,così gli inviai alcuni dei miei pezzi: ad Alessio piacquero subito e mi invitò a suonare nel suo programma. Ramazzotti ascoltò quella trasmissione e contattò la redazione perché voleva conoscermi. Inizio così la nostra collaborazione: in principio avevo firmato per tre album in cinque anni, purtroppo non andò bene ed il mio primo album “L’amore altrove” uscì solo due anni e mezzo dopo dalla firma del contratto, non ci fu promozione ed Eros non mi diede neanche la possibilità di aprire un suo concerto. Così decisi di rescindere il contratto e di proseguire da solo. Al di là di questo, Eros ha prodotto il primo disco ad un trentenne, andando controcorrente rispetto alle altre aziende che puntano su esordienti giovanissimi, ed ha speso tanti soldi per un grandissimo album con registrazioni persino ad Abbey Road a Londra. Quest’esperienza mi ha formato molto, ma mi ha anche spaventato parecchio l’idea di non essere riuscito ad arrivare con un grande disco al pubblico.
Siete rimasti in contatto poi, hai ancora dei suoi feedback sul tuo lavoro indipendente?
No, ora non ci sentiamo più. Ci salutammo gentilmente ed ognuno di noi è andato avanti per la sua strada, per me non è stato affatto facile come ho raccontato in gran parte dell’album “Non date il salame ai corvi”.
In che modo sei riuscito a trovare la forza per ripartire in seguito alla deludente esperienza? C’è qualcosa o qualcuno in particolare che ti ha fornito la spinta decisiva?
La forza che trovo per rialzarmi sempre in piedi sono le canzoni, quando scopro di avere tra le mani una canzone ritrovo la voglia, l’entusiasmo e l’energia per ripartire. Le mie canzoni non nascono in tre minuti, ma richiedono anche mesi di lavoro. In particolare in quel periodo scrissi la canzone “Carlo” e pensai che meritasse l’inserimento in un album. Ebbi la possibilità di aprire un concerto dei Marta sui Tubi a Pavia a Spazio Musica, e conoscere Giovanni Gulino che di lì a poco con la sua compagna avrebbe aperto la piattaforma Musicraiser, proponendomi di partecipare ad una raccolta fondi e, non avendo nulla da perdere ed essendo ripartito da zero, accettai. Si può dire che ho battezzato Musicraiser. La raccolta andò a buon fine grazie ad una settantina di persone che in due mesi mi hanno dato fiducia. A quel punto è partita la collaborazione con D’Aniello e Malfatti (La Crus) per la produzione del disco. La distribuzione l’ha curata Universal grazie all’intermediazione di Giovanni Gulino, quindi l’indipendenza in questo caso la riscontra esclusivamente nella libertà artistica di esecuzione.
Come mai hai deciso di puntare sulla campagna di crowfunding?
Proprio per andare al modo di lavorare della precedente esperienza in cui l’entourage di Ramazzotti non mi ha permesso di compiere una scelta in merito ai brani, così come la copertina (che io odio) e tante altre cose. Quindi avevo bisogno proprio di questa libertà di gestione delle mie scelte, ovviamente confrontandomi con gli altri ma avendo sempre io l’ultima parola.
Quali sono gli aspetti positivi e negativi di una scelta di questo tipo?
Dei positivi ne abbiamo appena parlato, arriviamo a quelli negativi: in due mesi devi chiedere alle persone di investire su un disco di cui non se ne conosce il contenuto, senza neanche un singolo promozionale. Io non ho proprio i soldi per incidere un singolo anche perché non compongo con i pc ma ho bisogni di strumentazioni abbastanza imponenti. Io ho esigenza di registrare in uno studio professionale, ovviamente costoso, perché tengo tantissimo alla cura dei suoni e degli arrangiamenti di un disco. Un altro limite è che la raccolta fondi è anche umiliante, a volte sembra che chiedi la carità, però lo fai perché credi nella potenza delle canzoni e perché le canzoni ti salvano la vita, non solo le mie. Infine si corre il rischio di non riuscire a distribuire senza i mezzi giusti il disco, al di fuori dai partecipanti alla raccolta fondi.
A proposito di crowfunding, com’è andata la raccolta per l’ultimo lavoro discografico conclusasi proprio ieri su Musicraiser?
Fortunatamente è andata bene anche questa e non me l’aspettavo. Ho visto anche l’adesione di più persone rispetto alla campagna precedente, la cosa mi ha stupito perché con l’uscita di “GIU” pensavo addirittura di averli delusi, perché per quanto sia per me l’album più riuscito dal punto di vista degli arrangiamenti e della sperimentazione, si tratta di un disco fatto più per me che per assecondare l’udito dei fans. Adesso darò loro in pasto un grande album pensato anche per loro, molto più leggero, non superficiale, ho bisogno anche io di divertirmi sul palco.
Per quale motivo ti definisci un “cantautonomo”? Qual è il significato che si cela dietro questo termine da te coniato?
All’inizio “cantautonomo” era un termine per svecchiare la figura del cantautore, nel senso che questo termine spesso spaventa e lo si associa a qualcosa di impegnato. Già ne parlava Vasco Rossi negli anni ’80 sostenendo che le persone una volta tornate da lavoro non hanno voglia di impegnarsi nell’ascolto della musica, mentre vorrebbero soltanto rilassarsi. Poi “cantautonomo” lo son diventato veramente facendo le raccolte fondi. In “GIU” io denuncio proprio questo modo di fare musica fintamente impegnato tant’è che distinguerei la “canzone d’autore pop” dalla “musica pop”. Io provo ad essere più per la “canzone d’autore pop”.
Quali ascolti musicali ti hanno segnato più profondamente? Ci sono dei cantautori “che non ti hanno stracciato i coglioni”, per citarti?
Io faccio parte di quell’epoca degli anni ’80 e ho ascoltato i cantautori di quell’epoca lì, cioè tutti quelli che hanno fatto canzoni d’autore di successo: Ivan Graziani, Ivano Fossati, Francesco De Gregori, ovviamente De Andrè, Rino Gaetano, Claudio Baglioni, Lucio Dallla, Mia Martini, Riccardo Cocciante. Adesso con internet tutti fanno canzoni d’autore ma commerciali, mentre prima si componevano opere d’arte.
A proposito di canzone d’autore pop, sei amico di Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti. Da emblema dell’indipendenza e autonomia in tutta la tua arte, cosa ne pensi del suo passaggio dall’indie al mainstream? Bolle una collaborazione con lui in pentola?
Dire amico è eccessivo, ci siamo conosciuti, stimati e abbiamo cantato insieme. Lui ha cantato “Carlo”, mentre io “Proteggi questo tuo ragazzo”. Secondo me “Fuoricampo” è un grande album e non credo a questa storia del passaggio all’indie al mainstream. Ad esempio Lucio Dalla ha fatto tre dischi bellissimi con Roversi, poi doveva anche mangiare e così ha inciso “Com’è profondo il mare”, ci fosse stato internet la gente gli avrebbe dato del venduto. I Thegiornalisti non sono mai stati indipendenti, hanno solo fatto un percorso che ha permesso loro di arrivare ad un grande pubblico, cosa che io auguro a tutti.
Avremo modo di seguirti dal vivo dopo l’album? Svelaci gli appuntamenti del tuo prossimo tour e i progetti che hai in cantiere.
Per ora penso soltanto a fare uscire l’album dopo l’estate. A breve mi occuperò della scelta del produttore che io cambio ad ogni disco. Indubbiamente organizzare un tour per promuovere l’album sarà importante tanto quanto la sua produzione. Io per ora non ho ancora inciso una nota ufficialmente, ci sono delle collaborazioni inaspettate che mi stanno facendo pensare che verrà fuori una bella cosa ma seria. Questo mi lascia ben sperare.
Ti saluto così con un gioco: Scegli un tuo collega indipendente a cui inviare un messaggio, una nota di stima, un vaffanculo, chiedere un featuring, io proverò a sentirlo ed aprirò la sua intervista con il tuo appello. Chi scegli e cosa senti di dirgli?
Il mio messaggio va a Dente, gli voglio rinnovare la mia stima e spero di poter suonare ancora con lui in futuro.
A cura di Lorenzo Scuotto
