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Metti una serata a teatro con Manuel Agnelli – Live Report

by InsideMusic
manuel agnelli

Un salotto vero e proprio, con poltrone, appendiabiti, lampade dal gusto retrò e una varietà di strumenti che farebbe invidia ad ogni musicista. È questa la scenografia che fa bella mostra di sé al mio ingresso al Teatro la Fenice di Senigallia.

Sono le 9 meno cinque e per veder salire qualcuno sul palco dovrò attendere mezz’ora. Ma l’attesa non è inutile, anzi… mi prepara ad uno spettacolo lungo ben due ore e mezza. Parlo di spettacolo perché “An evening with Manuel Agnelli” non è un concerto ma una vera e propria messa in scena, lo spettatore viene catapultato in un ambiente intimo, accogliente, dove può sorseggiare un buon liquore, osservare e ascoltare musica e parole.

Manuel Agnelli non si risparmia sul palco, racconta di sé, accenna cover di artisti importanti per la sua formazione artistica (su tutti il meraviglioso arrangiamento di “Perfect Day” di Lou Reed). Rodrigo D’Erasmo accompagna il suo collega e amico in punta di piedi, senza commentare ma lasciando che a parlare siano le note del suo violino o i suoi cori. “È più giovane di me ed è pure un bel ragazzo” scherza Manuel raccontando di una fan particolarmente accanita.

Piano piano mi rilasso e la poltrona diventa sempre più comoda quasi come il divano di casa, le orecchie lasciano fluire la bellezza che le raggiunge. Manuel stupisce, provoca, cambia ritmo poi si siede con D’Erasmo accanto al giradischi e inizia a leggere con passione e trasporto “Cronache di poveri amanti” di Vasco Pratolini. Grazie alla sua “r” inconfondibile e al gusto che ci trasmette leggendo, lascio correre qualche piccolo errore di articolazione teatrale.

Dopo gli omaggi a Mina (una delle prime a credere nelle potenzialità degli Afterhours) e a Kurt Cobain (“quando si suicidò capii che la mia speranza in un miglioramento della società era svanita” commenta Agnelli), il duo si scatena in una serie di successi della band da “Ballata per la mia piccola iena” a “Strategie”, da “Bianca” a “quello che non c’è”. Le canzoni, riarrangiate, acquistano nuove sonorità, mi entrano dentro in maniera diversa e posso riassaporarle come se fossero nuove. Alcune sono accompagnate da Manuel con un piano Fender Rhodes, altre dalla sua immancabile chitarra che, ogni volta, riaccorda personalmente fino ad arrivare a far ripartire un brano perché non ha ottenuto un’accordatura perfetta.

A mezzanotte in punto pubblico in piedi, “standing ovation” meritata per l’artista sempre elegantissimo con camicia e pantalone nero e una giacca di velluto rossa. Al grido: “è stata dura stare seduti!” risponde con un: “la prossima volta vi faccio stare in ginocchio sui ceci” e si congeda prendendo impermeabile e cappello e spegnendo l’ultima luce come solo i più grandi attori anni ’30 sapevano fare.

Esco distratta, coccolata da quello che ho visto, che ho vissuto. Un’ora dopo mi ritrovo a passare dietro il teatro in cerca della mia macchina, noto un auto molto bella con i lampeggianti accesi, mi volto, alla mia sinistra vedo dei capelli lunghi: Manuel ha aspettato che i fan si diradassero prima di uscire. Agisco d’istinto, lo guardo dritto negli occhi e gli dico: “complimenti”, il suo sguardo altero si trasforma in un sorriso dolce: “grazie” e sale in auto per conquistare nuovi palchi e regalare ad altri spettatori una serata magica.

Sarà pure un artista burbero e cinico ma in quel sorriso io ho visto tutto l’amore per un lavoro, la musica, che lo accompagna ormai da più di trent’anni.

Di Elena Fioretti

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