“Chi è Liberato?”, ci eravamo chiesti qualche giorno fa, quando – appresa la notizia dai suoi canali – ci preparavamo ad assistere al concerto dell’anno in terra partenopea. E se nessuno è profeta in terra propria, lo stesso non si può dire di Liberato, che in soli cinque giorni di comunicazione esclusivamente social, ha visto radunare ventimila persone sul lungomare di Mergellina, il lungomare Liberato.
Si è detto e scritto già tutto, un’operazione di marketing, una voce figlia dell’autotune, una persona, più persone, i paragoni si sprecano, il più gettonato è con il progetto Cambogia, nato per perculare Calcutta e finito per diventare un fenomeno virale. C’è chi grida al genio, c’è invece chi pensa che abbia stancato tutto questo mistero e che il gioco è bello se dura poco, poi devi mostrare i tuoi intenti. Ma la verità sta sempre nel mezzo. Perchè Liberato non è un genio? Perchè – come scrivevamo già – quello del mistero sulla identità dell’artista è un modus operandi già stravisto, perchè è figlio dell’hype e – si sa – la fama è diversa dal successo, e il passaparola alimenta la fama, ma non ti garantisce il volere del popolo a lungo raggio, per quello ci vuole il talento, e – almeno vocalmente – Liberato ne è carente. Perchè sì, nella sua città, l’uomo del mistero ha cantato, ha svelato la sua voce, ha usato poco autotune, e non ha lasciato girare un disco e vedere tre incappucciati muovere le labbra come automi. Perchè invece è eccessivo accanirsi su questa idea? Perchè quello di ieri è stato un fenomeno sociale che ha visto orde di persone divertirsi e cantare nella meravigliosa lingua che è il napoletano.
Ma veniamo all’evento, chiamarlo concerto con una setlist di soli sei pezzi sarebbe avventato, oltre che offensivo nei riguardi di artisti che offrono due ore di spettacolo live, è stato gratuito, fruibile a tutti in una epoca di stenti e in cui la musica è spesso proibitiva, offerto dal brand Converse, che non ha rubato la scena alla musica, non ha nemmeno attaccato un logo sul palco.
Liberato è arrivato in gommone accompagnato dai suoi due soci, uno ai sintetizzatori e l’altro alle percussioni elettroniche, tutti con l’outfit a cui ci ha abituati attraverso i suoi video: felpa scura, cappuccio tirato su e fazzoletto in volto, a coprirlo di altro mistero, come se non ce ne fosse ancora abbastanza. Sulle note di “Life is Life” degli Opus – brano di riferimento nel Calcio Napoli, come il sottofondo del riscaldamento pre partita di Maradona – ha eseguito i suoi canonici pezzi, rigorosamente in ordine sparso. Nessuna scelta in base al lancio dei video, nessuna scelta in base alla costruzione della storia del cortometraggio, solo l’attesissima chiosa con “Tu t’e scurdat ‘e me”.
Quindi neppure questa volta Liberato ha rivelato le sue anagrafe.
Senza fare i nostalgici del passato bisogna riconoscere che Liberato (che sia Livio Cori, Emanuele Cerullo o lo stesso regista Francesco Lettieri, o tutti e tre, o nessuno di loro) è figlio dei tempi, è nato da un video su YouTube che ha faticato a decollare ma che poi non ha raggiunto una fama che si fatica ancora ad arginare, che questo video sia stato un tassello nello storytelling generale del progetto video musicali come costrutto di una storia, e che l’hype è il nuovo riunirsi nei garage e suonare per accrescere la propria fanbase. “Liberato è riduzione delle distanze, non scoprire chi sia” dicevamo qualche giorno fa, e in un tempo in cui le regole le fa la Lega, che il federalismo e il neo borbonismo sono temi così caldi, vedere autobus di ragazzi arrivare da Brescia e Torino, cantare in napoletano e divertirsi sul lungomare più bello del meridione, sentirsi tutti figli di una stessa terra, ci fa credere che Liberato il suo compito lo abbia svolto a pieni voti, marketing compreso.
A cura di Fabiana Criscuolo
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