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Gioved-INDIE, ospite del giorno Leo Pari: “Le storie oggi sono usa e getta”

by InsideMusic

Ospite di questa puntata di Gioved-INDIE è Leo Pari, cantautore, musicista e produttore romano, reduce dalla pubblicazione di una trilogia di album chiusa con “Spazio” e tornato alle scene in questi mesi con la pubblicazione di tre singoli che preannunciano l’uscita di un nuovo album. Una chiacchierata con Leo spesso ha insito in sè il concetto di lezione di storia musicale. Nel suo background professionale si annoverano molte sfaccettature di quel mondo sommerso che è la creazione di un album: musicista per sè e per altri (da un anno impegnato anche nel progetto dei Thegiornalisti e membro attivo dei Lato B, band tributo a Lucio  Battisti), produttore artistico di altri progetti indipendenti e discografico, oltre che penna autorevole (tra gli altri anche di Cristicchi), con una passione smisurata per i sintetizzatori – che colleziona- e la sperimentazione. Il nuovo album, che riassume tutto ciò,  uscirà  prima dell’estate e sarà “un album divertente che fa ballare – volevo divertirmi e far divertire . Probabilmente il migliore che ho fatto finora, le date del prossimo tour saranno dei super festoni, chi verrà avrà a disposizione un’esperienza completa di divertimento fra musica,  ballo e sballo. Non vedo l’ora di tornare a suonare sul palco”, anticipa Leo, e noi saremo quì per registrare tutto ciò.

Ciao Leo, benvenuto in Gioved-INDIE e bentornato sulla scena musicale. Partiamo subito con una domanda che accomuna tutti i miei ospiti: cos’è per te l’Indie (se significa ancora qualcosa) e cosa riesce ancora a mantenersi indipendente?
In realtà l’indie non saprei benissimo come definirtelo, sicuramente sono “le canzoni che usano le parole strane”, quello è indie.

E tu ti senti indie dunque?
(ndr: ride) Io uso parole strane ogni tanto, in effetti, sì. Tornando alla definizione che mi hai chiesto, sembra che tutti vogliano fare pop, non credo quindi che ci sia più una grande differenza fra i due mondi, penso al contrario che i due generi siano perfettamente allineati. Una nota comune fra tutti gli artisti che stanno uscendo è data dall’esigenza di leggerezza, sento proprio la ricerca del ritornello facile, della cosa di presa facile sul pubblico. L’indie ha avuto quindi un grande avvicinamento al pop, il che è un bene, dal mio punto di vista. Un tempo si associava all’indie maggiormente un concetto di sperimentazione, musicale e lessicale, mentre invece adesso l’indie sta diventando il pop del domani, anche se lo spazio per la sperimentazione continua a non mancare.
Che cosa riesce invece a mantenersi ancora indipendente è avere la libertà di scrivere ciò che vuoi, ciò che senti; la forma di espressione deve essere sempre piuttosto libera, quando questa scelta così libera incontra anche il favore del pubblico vorrà dire che avrai fatto un buon prodotto.

Con “Spazio” hai chiuso una trilogia iniziata con “Sirena” e “Resina”, ma hai lasciato uno spiraglio aperto già al tuo nuovo progetto in uscita. In Spazio infatti l’uso dei sintetizzatori e le sonorità anni ’80 hanno creato un sound che ritroviamo anche in questi tre nuovi singoli. Singoli che hanno ritornelli molto lunghi e strofe snelle, ma sembra che il racconto sia dato proprio dagli arrangiamenti. Sbaglio?
Anche in questo caso, come nei precedenti, non è che ci sia stata una vera e propria scienza dietro a determinate scelte o decisioni prese a tavolino, semplicemente sono dei pezzi che ho scritto ed un sound che mi attraggono in questo momento e rispecchiano maggiormente la mia forma espressiva. Ho una passione per la musica elettronica, si evince già da Spazio in cui c’è stato un riavvicinamento al momento del “sintetico”. In questo nuovo disco che uscirà la grande differenza rispetto ai precedenti è che non c’è nessun musicista che suona, ho realizzato tutto al computer e con macchinari sintetici ed elettronici.

Particolare questa scelta fatta da te che sei un polistrumentista…
In realtà la  conoscenza dello strumento torna sempre utile perchè anche la musica elettronica  – che spesso viene associata erroneamente a non conoscenza della musica, la figura del DJ e del Producer vengono ancora additate come non musicisti  – ha bisogno di queste basi. Chi mette mani sulle macchine, sui sintetizzatori, sulle drum machine secondo me sa sempre bene cosa sta facendo.

Il nuovo album è stato prodotto da Matteo Cantaluppi, storico producer nostrano, presso il Il Mono Studio di Milano, abbiamo conosciuto altri producer e la cosa che più spesso ci siamo sentiti dire è che il loro lavoro su un determinato brano per renderlo più “spendibile” è stato quello di spogliarlo completamente rispetto all’idea originale dell’artista. Tu sei anche produttore artistico per altri nomi celebri (vedi Gazzelle), come ti ha aiutato l’occhio esterno al progetto?
In realtà Cantaluppi lo ha solo missato, a produrlo siamo stati io e Sante Rutigliano, lui ci ha messo le mani a canzoni finite. Abbiamo lavorato in due, così come successe anche per Spazio, ci siamo chiusi e abbiamo tirato fuori questo disco, queste sonorità.

Se dovessi riassumere il tuo nuovo album  in un solo strumento, quale sarebbe e perché?
Lo strumento che sicura predomina – al di la dei sintetizzatori che però non sono una novità perché li ho utilizzati già nell’album precedente – e caratterizza questo nuovo lavoro sono sicuramente le drum machine.

Abbiamo esordito con un “bentornato” ed infatti dal giorno di Natale ad oggi ci hai regalato tre singoli: “Dyo”, “Dirty Ti Amo” e “Giovani Playboy”. A proposito di indipendenza, di hype e di tanto altro, ti cito: “Perchè ci mettete il cuore solamente nelle foto| Mi chiedete aiuto nei messaggi |E poi ripenso alle vostre storie mentre dico a voi di non pensarci |Ed è impossibile non mettersi nei panni |Quando leggi che gli stessi drammi li hai avuti anche tu ai loro stessi anni”. A questo punto correggerei in “mettersi nei tuoi panni”, visto che Dyo non è solo un brano ma anche un tuo brand commerciale. La musica sta assumendo sempre più una piega di mercato più che emozionale?
No, non credo. Il primo singolo – Dyo appunto – probabilmente è uno dei brani più sentimentali che io abbia mai scritto. L’idea di chiamarlo poi come un brand di abbigliamento poi è capitata, non nasceva assolutamente come una sigla o uno spot per pubblicizzare la mia linea di abbigliamento. Tra l’altro quella è una canzone che non sarà neppure inclusa nel disco, è un brano a sè stante, un outsider che è uscito la notte di Natale; lo includerei piuttosto nella categoria Christmas’ song, che contiene un sottoinsieme di canzoni . No comunque non nasce con l’idea di fare pubblicità a qualcosa, mi piaceva la circostanza che ci fosse già un brand che in qualche modo potesse rafforzare questo immaginario descritto nel brano, ma – ti ripeto – forse è uno dei testi più  sentimentali che io abbia scritto.

Vuoi sapere ragazzo perché finisce l’amore ragazzo? Fondamentalmente perché la gente si rompe il cazzo!” severo ma giusto. Cosa pensi abbia contribuito a questa “paura della felicità”, a dare una scadenza a dei sentimenti che prima erano a lunga conservazione? Sono davvero solo le “libertà che vanno in giro depilate” o c’è una insoddisfazione generazionale ben più profonda?
Sicuramente c’è una insoddisfazione generazionale a più ampio raggio. Mi sembra di vedere che le storie ad oggi funzionano in questo modo, sono  molto usa e getta ma in maniera buona, naturale e spontanea, consenziente da entrambe le parti, se sono solo due le persone in ballo. Ho provato a raccontareuna realtà con “Giovani Playboy”, che poi lo cominciamo ad esserlo noi stessi in fondo, di quelle persone del domani che  si innamorano con un click e si salutano con un bacio, la canzone ha voglia di raccontare di questo e di farlo in maniera divertente, come se stessi in un locale a raccontarlo a qualcuno. Credo che molte persone si possano rispecchiare nella filosofia raccontata in questo brano.

Fai pure  tutte, almeno per una breve parentesi delle nostre esistenze..
Ma certo, ogni canzone descrive sempre un momento, uno stato d’animo. Nella canzone successiva magari uno ha uno stato d’animo diametralmente opposto, però Giovani Playboy vuole sembrare un pezzo leggero ma in fondo sta parlando del modo in cui i ragazzi oggi vivano dei rapporti, poi ci saranno sempre le eccezioni  che confermano la regola e mi auguro anche che ci siano delle persone che si amino veramente ed abbiano la possibilità di portare le loro storie avanti, ma in maniera generale ho avuto questa impressione della tendenza attuale di volere tutto e per poco tempo.

Del resto siamo nell’epoca delle Instastories che spariscono, senza lasciare traccia, dopo ventiquattro ore, no?
Brava, niente dura più di quel po’, ormai.

In questa rubrica sono gettonatissimi gli anni ’80 come decennio di indipendenza musicale, ma in quegli anni si sono visti anche i più grandi marasmi nella discografia. Tu sei anche discografico, in quale decennio avresti svolto più agevolmente entrambi i tuoi ruoli (discografico e musicista), senza pressioni commerciali e/o dei fan?
In realtà da qualche anno ho smesso di occuparmi di discografia per ragioni di tempo, è un progetto che ho momentaneamente congelato, in futuro chissà. Per adesso continuo a produrre altri artisti ma ho smesso di pubblicare album per altri. A me sarebbe piaciuto comunque lavorare nel periodo subito precedente agli anni ottanta, verso la fine dei settanta. In quegli anni c’era  un grande fermento musicale, il grande rock stava iniziando a diventare pop, nasceva la italo-disco, la musica dance. Mi avrebbe davvero stimolato vivere l’avvento dei nuovi sistemi di produzione computerizzati, il passaggio dall’era completamente analogica a quella digitale. Questo periodo poi ha portato agli acclamati anni ottanta in cui ogni disco era prodotto in maniera totalmente digitale.

Inevitabilmente la tua fama cantautorale è aumentata dopo che hai abbracciato il progetto dei Thegiornalisti come musicista che ha affiancato la band durante tutto il passato tour. Ovviamente aumentando la fanbase saranno aumentate anche le aspettative, come hai vissuto questa spinta propulsiva nel voler avere subito un tuo nuovo album, ti ha portato a velocizzarti nella sua elaborazione o sei rimasto “indipendente rispetto ai tuoi fan”?
Assolutamente indipendente, io lavoro con i miei ritmi che fortunamente sono veloci. Mi ritengo un autore piuttosto prolifico e di conseguenza non ho dovuto far passare troppo tempo tra il disco precedente e questo, avevo già delle idee e nella realizzazione ho dovuto lasciar fuori anche alcuni pezzi. Non ho subito alcuna pressione anche perchè non credo di essermi fatto aspettare troppo.

A chi vorresti “Dire Ti Amo” in questo momento?
E’ una bella domanda questa. Sicuramente non è tanto il dire Ti Amo ma parlare di veri sentimenti. Il riferimento che tu fai è a “Dirty ti amo”.  Quel brano anche descrive un po’ lo stesso status dell’altra (ndr: Giovani Playboy), questa leggera morte della passione, la spinta forte dell’abitudine, quello che racconta “Dirty ti amo” è un rapporto complicato, è un rapporto consumato che è arrivato – dopo tanto tempo – ad un punto in cui ci sarebbe la voglia di dirselo ancora come si è detto nei primi tempi della storia.
Tornando a me, in questo momento mi sento abbastanza bene, non lo vorrei dire a nessuno insomma.

Alla fine di questo viaggio noi terminiamo sempre con un gioco, un telefono senza fili che mira alla contaminazione musicale. Se dovessi inviare un messaggio ad un tuo collega indipendente, un attestato di stima, un vaffanculo, un featuring, quello che ti pare insomma, chi sarebbe e cosa gli diresti?
Mah, non ho molto da dire onestamente, non saprei proprio a chi rivolgermi. Probabilmente mi rivolgerei più a tutti, che solo ad uno. Il mio invito è quello di continuare a fare il proprio lavoro sempre in purezza senza lasciarsi distogliere troppo dal desiderio di voler svoltare.

A cura di Fabiana Criscuolo

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