La Decima Vittima di Elio Petri e Piero Piccioni

di InsideMusic
Nella scarsa produzione fantascientifica cinematografica italiana, c’è un gioiello: La Decima Vittima, di Elio Petri, film del 1965 musicato da Piero Piccioni.

Tratto dal romanzo antologico di Robert Sheckley, La Settima Vittima, vede fra i protagonisti l’insolita coppia Ursula Andress-Marcello Mastroianni, che, però, funziona egregiamente. La svizzera Bond girl intepreta una studentessa americana, Caroline Meredith, e Mastroianni il bonario, indolente, annoiato, Marcello Poletti. Ambientato in una Roma in un futuro patinato, spaventosamente aderente all’attuale, prende la poesia del racconto breve di Sheckley e la trasla nella commedia all’italiana. Il contesto è degno della migliore fantascienza distopica che seguì (Battle Royale di Koushun Takami ed i vari emuli fra cui la fortunata serie di Hunger Games di Suzanne Collins): in un mondo che è scaduto nella violenza, i governi hanno deciso di creare un’istituzione, la Grande Caccia, che a sua volta dà il compito ad un supercomputer, super partes, di selezionare Vittime e Cacciatori. Il fine è dunque quello di soddisfare la sete di sangue e violenza di determinate persone, finendo dunque perché si elimino fra di loro: un nobile e salutare scopo per proteggere la società dai suoi stessi prodotti.

La decima vittima

Ursula Andress e Marcello Mastroianni ne La Decima Vittima

Prima regola: ogni iscritto deve impegnarsi a compiere dieci cacce, cinque da cacciatore e cinque da vittima alternativamente, accoppiate di volta in volta dal selezionatore elettronico di Ginevra;

Seconda regola: il cacciatore sa tutto della sua vittima: nome, indirizzo, abitudini;

Terza regola: la vittima non sa chi è il suo cacciatore, deve individuarlo e sopprimerlo;

Quarta regola: il vincitore di ogni singola caccia ha diritto a un premio. Colui il quale raggiungerà vivo il traguardo delle dieci cacce sarà proclamato ‘Decathon’ e riceverà onori e 1 milione di Dollari

Naturale corollario a ciò, è ovviamente l’interesse morboso e spontaneo che, tramite i mass media, si è creato attorno alla Grande Caccia: ogni caccia, soprattutto di Cacciatori popolari e famosi come i personaggi della Andress e di Mastroianni, è trasmessa in diretta tv, e sono allestiti dei veri e propri set degli eventuali scontri finali. Una sorta di reality show, molto prima che venissero effettivamente concepiti. La materia del racconto prima e del film poi attinge ampiamente a Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley, altra utopia ipertecnologica in cui i bisogni personali si perdono in un oceano di convenzioni sociali più o meno condivise. Comune ad entrambe le opere è, infatti, il culto della giovinezza: laddove nel romanzo di Huxley gli anziani venivano “riconvertiti in materia organica per estrarne il fosforo”, sia nel racconto di Shackley che nella trasposizione cinematografica, al fine non far fare la stessa fine ai propri genitori, Marcello è costretto a nasconderli in una bizzarra finta parete di casa sua. Altro rimando a classici come Fahreneit 451 di Ray Bradbury e a Il Mondo Nuovo è la censura dei libri classici: ma Marcello se ne frega, perché colleziona fumetti.

Marcello, nonostante ciò, pare essere figlio della sua epoca, che è dunque una sorta di estrema conseguenza del consumismo anni ’60: cinico, disinteressato, ha deciso di aderire alla Grande Caccia per pura noia. Qualcosa, ovviamente, cambia, quando diviene la vittima dell’affascinante cacciatrice Caroline, che, a sua volta, rimane colpita dai modi disinibiti e tranquilli dell’ossigenato italiano. Il finale, purtroppo abbastanza scontato, fu imposto dalla produzione e distrugge letteralmente quanto di buono fatto nella sceneggiatura di Petri e di Tonino Guerra. La punizione dell’arrivismo imperante di cacciatori e vittime non arriva, a sua volta, mai, e la karmica punizione che Marcello e Caroline meriterebbero si trasforma, invece, in un lieto fine melenso e scevro di significato. La colpa pare sia di Carlo Ponti, storico produttore cinematografico italiano ed appassionato collezionista d’arte.

La scenografia, affidata a Piero Poletto, è oltremodo ricca e sorprendente: colorata e disarmante, ricchissima di rimandi alla cultura pop, fonde un gusto che si è poi riversato nel cyberpunk col tipico glamour degli anni ’60. Definire “futurista” il film sarebbe un’eresia per i cultori dell’accademismo artistico, e “profetico” è un termine quantomeno azzeccato, tanto quanto lo fu La Fuga di Logan, del 1976. La Roma antica si contrappone all’EUR, come una space opera si contrappone ad un romanzo di Philip Dick: neri, bianchi, violetti, rossi e verdi, fanno da padroni in una tavolozza che non crea fusioni ma solo giustapposizioni. Nota di spirito sono i Manichini Ingessati del gruppo ENNE, collettivo artistico padovano che ebbe effimera vita ma un granitico manifesto programmatico. In sostanza, ne La Decima Vittima si è carne per la televisione, la burocrazia regna sulla vita stessa e possedere affetti sinceri è tremendamente noioso: l’importante è esser belli, glamour, e soprattutto sembrare ricchissimi.

La colonna sonora fu affidata a Piero Piccioni, importantissimo jazzista italiano, autore di circa duecento colonne sonore. Nacque nel 1921 a Torino, da Attilio Piccioni, esponente di spicco della Democrazia Cristiana. Divenne tristemente noto all’opinione pubblica per il coinvolgimento nel cosiddetto “Caso Montesi”: una ragazza, Wilma Montesi, sorprendentemente bella, venne trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica, a Pasqua del 1953, probabilmente per cause naturali. Eppure, attorno alla figura della giovane, venne montato un caso mediatico senza precedenti nella giovane repubblica: tra accuse e controaccuse, si arrivò perfino ad accusare Piero Piccioni come coinvolto in un “bunga bunga” anni ‘50, scendendo, infine, nell’idea che il tutto fosse una cospirazione ordita per screditare la Democrazia Cristiana. Dodici anni dopo, Piero Piccioni si è ormai scrollato di dosso gli oscuri fatti di quell’anno, ed ha ripreso a pieno ritmo la propria attività. È un pianista autodidatta, privo di vincoli accademici, ama l’improvvisazione e non scrive sempre i suoi spartiti, soprattutto nel caso dei film con Alberto Sordi. È richiestissimo e finalmente un regista come Elio Petri, con già all’attivo capolavori come I giorni contati, riesce ad aggiudicarselo.

La colonna sonora, pubblicata a suo tempo per la Easy Tempo, un’etichetta scomparsa, vede in tutto 45 minuti estremamente catchy e divertenti.

L’LP si apre con un frinire di cicale, che rimandano gli assolati Fori Imperiali d’agosto in cui si svolge l’azione del film: è la scena dei titoli di testa. Le cicale sono zittite da un colpo di pistola che rimbomba fra le colonne. Si apre così un motivetto molto orecchiabile fatto di effetti elettronici e spazzole per batteria che diviene poi uno scat jazz tremendamente anni ’60 cantato da una melodiosa voce femminile che altri non si rivela essere se non Mina. Il motivetto viene poi traslato su organo hammond, arricchito di percussioni e di qualche dissonanza che conferisce l’aria di improvvisazione e di sottofondo di lounge.  Lo stesso vale per The Chase, la prima caccia di Ursula Andress che viene seguita nel film. Un brano audace, avanguardistico, fatto di effetti elettronici sincopati su una base jazz fatta di pochi accordi ripetuti. Di nuovo, l’effetto “improvvisazione” è enorme, ed a ciò si unisce, per un uditorio moderno, una certa sensazione: la nostalgia per un mondo positivista che non esiste più, una Tour Eiffel rimasta a troneggiare su un mondo vuoto.

The Rendez-Vous è un pezzo lounge, lento, e ballabile, in cui un sassofono delicato si innesta su una base sofisticata.

La colonna sonora passa da un genere all’altro senza soluzione di continuità: il motivetto iniziale è riarrangiato e ripreso nella seconda parte dell’LP, in maniera più sofisticata. Ci sono effetti elettronici, ci sono tubular bells, per rendere questa volta il tutto molto chill out ed adatto ad una sessione di yoga in una palestra d’alto bordo, frequentabile da uno come Marcello.

Keep Running interrompe la calma con un motivo più noir, fatto di fiati sostenuti mid-tempo con un’importante presenza di tamburi. Interrogativa parte The Pawn, pianoforte cristallino, così espressivo che potrebbe essere un ottimo commento per un film muto d’animazione; gli accordi sono gli stessi del tema principale, il cui nome ufficiale è Spiral Waltz.

Tale tema è intepretato per la terza volta ad introdurre la terza parte dell’LP, stavolta riducendo lo spazio dell’improvvisazione e rendendo gli accordi ben riconoscibili, rendendolo ballabile anche per un pubblico non colto di jazz e lounge music; oltre al pianoforte, che la fa da padrone, appare anche la chitarra elettrica, limitata a riff d’accompagnamento ma perfettamente calata nella parte.

Un tuffo nel prog si ha all’improvviso con A quiet interlude, un solitario di organo che unisce note che sembrerebbero frutto di spontaneo incontro ma che sono probabilmente ben calcolate, perché vanno, in realtà, a riprodurre il tema originale fortemente rallentato, in cuile note sono stiracchiate, quasi fosse un canto gregoriano: solamente un grande musicista poteva essere capace di una cosa simile.

L’intero motivo viene ripetuto una seconda volta, proponendo però una Mina che canta anche un testo scritto da Sergio Bardotti, che dà sfoggio a tutta la sua bravura ed al suo talento, andando a colpire note impossibili, per un brano che è gradevole anche nel 2018. Il brano viene trasformato in un valzer in 3/4 : si parla di spirali, con un’atmosfera lounge che ispira nostalgia per epoche mai vissute, in una dissolvenza di clavicembalo e clarinetto.

Ursula shake parte con batteria sostenuta, cui si aggiungono chitarra elettrica ed acustica, ad andare a suonare un brano pienissimo di commistioni, un go-go appartenente alla svanita beat generation.

Quarta ripresa del tema principale, stavolta evanescente suonato al clavicembalo, con sapiente utilizzo del volume del suono: la base è sempre la stessa, ma il contrabbasso è molto più presente.

The trap scandisce le scene finali del film e la colonna sonora, con una lenta ballata al pianoforte, un organo hammond in dissonanza a fornire una leggera suspance.

Ritroviamo Piccioni all’organo hammond anche in Love Theme, colonna sonora del mieloso finale e brano palesemente composto in fretta e furia, in quanto manca della cura certosina per l’equilibrio assonanza-dissonanza del resto dell’LP. A metà brano interviene un sassofono solista, che guida malinconicamente al finale.

In conclusione, La Decima Vittima avrebbe potuto essere un capolavoro, così come lo è il romanzo antologico di Robert Shackley. È riuscito comunque, grazie all’inestimabile talento di Elio Petri, Piero Piccioni, e soprattutto Marcello Mastroianni, ad essere una piccola perla da riscoprire. Attualissima, visivamente splendida e profetica: Marcello è ciò che rischiamo di diventare, persi nel cinismo di un mondo dissonante con l’animo umano, costretti a collezionare fumetti per sentirci un po’ ribelli e ad uccidere innocenti per sentirsi meno sporchi.

La Decima Vittima di Elio Petri, colonna sonora di Piero Piccioni

Image result for la decima vittima colonna sonora1 Spiral Waltz (English Version)
2 La Decima Vittima (Main Title)
3 The Chase 1:55
4 The Rendezvous 1:24
5 Keep Running 1:39
6 The Pawn 1:24
7 La Decima Vittima (Take 2)3:56
8 The Trap 3:16
9 Quiet Interlude 4:51
10 A Place To Hide 3:01
11 Ursula Shake 1:46
12 La Decima Vittima (Take 3) 4:20
13 The Rendezvous (Take 2) 3:56
14 Keep Running (Take 2) 4:12
15 La Decima Vittima (Take 4) 3:31
16 Quiet Interlude (Take 2) 3:36
17 La Decima Vittima (Take 5) 5:24
18 The Rendezvous (Take 3) 3:56
19 A Place To Hide (Take 2) 3:02
20 Love Theme 3:22
21 Spiral Waltz (Italian Version)

 

Giulia Della Pelle

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