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Keep on movin’, un ricordo di Pino Daniele.

by InsideMusic
Pino Daniele 3

C’è stato un tempo in cui subito dopo aver aperto gli occhi la mattina la prima cosa che si faceva era farsi na tazzulella e cafè. Quel tempo è passato da anni ormai, perché subito dopo esserci svegliati ormai tutti diamo un rapido sguardo al cellulare, perché il tempo non si ferma mai, la vita continua a scorrere anche quando noi la mettiamo in pausa.

I’ nun m’arricordo cchiù si stevemo bbuono cu ll’addore d’o ccafè pe tutt’a casa quando potevamo scegliere di partecipare a quel flusso semplicemente uscendo di casa mentre adesso ne siamo travolti, perché c’è sempre qualcuno che si è svegliato prima di noi o che è andato a letto più tardi, c’è sempre qualcuno che ha saputo qualcosa prima di noi, e con questa storia tocca fare i conti.

Quando quel 4 Gennaio accendemmo il cellulare non eravamo pronti ad essere travolti da quella notizia. In realtà credo che nessuno fosse davvero pronto, di mattina presto a farsi travolgere da quel mare di malinconia e tristezza che scatenò lo morte di Pino Daniele. Dopo aver letto della sua scomparsa tutto diventò insopportabile ed irrazionale. Vestirsi, uscire di casa, andare al lavoro, dar retta alle persone che sembravano non curarsi di quella cosa, addirittura prendersi un caffè fu straziante.

La musica manda messaggi cifrati, mette insieme persone che non si conoscono, smuove gli animi. La musica di Pino Daniele aveva reclutato schiere di anime malinconiche che tentavano di resistere a questa esistenza sempre più cinica e insapore. Persone che tentavano di resistere a questa velocità che consuma i ricordi, consuma le parole e i pensieri. Una velocità che aveva consumato anche Pino Daniele, che nella sua sconfinata discografia aveva commesso dei passi falsi che alcuni negli ultimi anni della carriera continuavano a rimproveragli.

Pino sei cambiato” ho sentito una volta gridargli ad un suo concerto.

Gesù Gesù come si cambia è vero, e poi non te ne accorgi più.

Lo diceva anche Pino, ma forse era giusto cambiare, era giusto crescere e guardare avanti, oltre lo stereotipo ed oltre il passato. Oltre un’immagina di Napoli che spesso hanno solo quelli che di Napoli conoscono poco e niente, come chi di te conosceva poco e niente. Quello che non cambia però sono le storie rimaste attaccate alle sue canzoni, le storie raccontate sui social anche ad anni distanza da chi da il suo contributo al grande racconto comune che sono diventati i social.

Pass o tiemp e che fa, la gente si distrae, le canzoni si suonano di meno, se ne scrivono di nuove e c’è la paura di dimenticare quanto siano state importanti persone come Pino Daniele. Poi arriva il 4 Gennaio e ti rendi conto di quanto tutti dobbiamo correre per forza di cose, perché la vita è questo, ma nonostante tutto non dimentichiamo. Nonostante tutto resistiamo, e resiste quel magone che portiamo dentro, come le strofe di tante canzoni.

Io non so spiegare perché quando ascolti una canzone cantata in napoletano capisci che potrà arrivare a tutti. Oggi in tanti sono tornati a cantare in dialetto, ma non tutti riescono a parlare anche a chi quel dialetto non lo conosce. È successo ad uno come Liberato che non a caso lo ha più volte omaggiato nei suoi pochi live, ma uno su mille ce la fa, come successe a Pino.

pino daniele

Impara l’italiano” gli gridarono nel 1980 in un concerto a Pescara, e lui senza scomporsi rispose “nun fa niente parlà, l’importante è sape’ sunà” e poi attaccò Alleria. Ed era quella la risposta migliore che poteva dare e che continua a dare ancora a distanza di tempo Pino e la sua musica.  C’è qualcosa di chimico in un disco cantato in napoletano, come fosse inglese, come fosse un linguaggio universale che si impasta con la musica creando sensazioni capaci di essere colte da tutti. Le canzoni di Pino Daniele le cantano tutti, anche quelli che non conoscono il dialetto, anche quelli che non conoscono i vicoli della città, anche da quelli che conoscono solo gli stereotipi e credono che la pizza sia buona anche a Milano, anche quelli che gli gridavano “sei cambiato”. Forse perché quella musica è un messaggio in codice per tutti quelli che cercano di resistere a tempi veloci, che triturano tutto, come hanno macinato pure lo stesso Pino, che tutti rivendicavano come parte di sé stessi e non come artista che provava a cambiare ed a crescere.

Quando si parla di Napoli il pregiudizio e lo stereotipo sono sempre i primi argomenti da smontare. Quando si parla di certi luoghi e di certe persone si deve fare il doppio della fatica per raccontarle come sono davvero, per capirle come sono davvero. La stessa Napoli che dopo la morte di Pino era su tutte le prime pagine dei giornali italiani e stranieri per una Piazza Plebiscito illuminata da mille colori e mille canzoni cantate in maniera spontanea da tutti quelli che erano lì per chiudere un cerchio. Le canzoni di Pino Daniele ci sono riuscite in pochi minuti. La musica di Pino ha raccontato quel magone che si portano dentro tutti quelli che in altre parti del mondo sono dipinti come simpaticoni sempre col sorriso stampato sulle labbra e con una pizza e un mandolino tra le mani. Perché Napoli, e il Sud in generale significano più malinconia che sole, più buio che luce, più dolore che gioia. E forse è per esorcizzare questi dolori e queste ferite che si ride di più, che si suona di più, che si canta di più.

Pino Daniele ha suonato questa resistenza, ha cantato sottovoce ma tutti sono stati ad ascoltarlo, ed ora che è venuto il tempo delle celebrazioni credo che nessuno sia pronto a farsi sommergere da quel magone. Da quell’abisso che molti sentono dentro e che nei giorni normali forse è più facile da dimenticare, da ignorare, correndo a destra e sinistra, perdendoci in questi tempi veloci che fagocitano tutto,  cantando a bassa voce come un mantra keep on movin’ , jamm annanz, facendo finta che Napoli sia un posto dove si ride e che il sud sia un posto dove c’è sempre il sole.

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