Intervista ai Furor Gallico, la migliore band folk italiana

di InsideMusic
I Furor Gallico sono ormai una certezza, per il folk metal. Ecco l’intervista che ci hanno concesso.

Band italiana con all’attivo tre album – di cui il terzo, il concept Dusk of the Ages(qui la recensione), è uscito per Scarlet Records questo gennaio – si contrappongono a quanto di liquido, elettronico, è di tendenza nel metal, portando avanti lo stendardo di flauti, chitarre, arpe, archi. Proprio in quest’ultimo album, tremendamente attuale, propongono un ritorno alla terra, più sincero e naturale: un homo novus. Abbiamo incontrato il chitarrista dei Furor Gallico, e membro di vecchia data, Gabriel Consiglio.

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Salve ragazzi, siete eccitati per l’uscita del nuovo album?

Contentissimi! Non vedevamo l’ora! Sono passati quattro anni dall’ultimo album, tra cambi di line up e duro lavoro su questi nuovi pezzi… ed eccoci finalmente qua!

Noi di Inside Music abbiamo avuto l’onore di ascoltare e recensire in anteprima Dusk of the Ages. Lo abbiamo interpretato come un concept sulla fine della civiltà e un ritorno alla natura. È corretto?

È proprio così. È come se la nostra civiltà, per come la stiamo vivendo in questo momento, fosse al suo crepuscolo (da qui il titolo dell’album e anche la copertina dal sapore “apocalittico”) e l’unica nostra salvezza sia un ritorno alla natura e un contatto autentico e profondo con i suoi elementi.

L’acqua – da WaterstringsNebbia della mia Terra, arrivando ad Aquane –   è un tema ricorrente in tutto il vostro nuovo album. Eppure, nel lyric video di The Phoenix le onde sono di magma. Come mai questa scelta?

Il filo conduttore tra le tracce del disco è il richiamo costante agli elementi naturali. L’acqua è chiaramente evocata in Waterstrings e Aquane, la terra (e anche l’aria e l’acqua) in Nebbia della mia terra, l’aria e le sue manifestazioni atmosferiche in Canto d’inverno. Per The Phoenix, brano legato al mito della Fenice che brucia e risorge dalle sue ceneri, il tema principale è il fuoco. Nel lyric video abbiamo voluto richiamare questo elemento in ogni sua accezione, compreso il magma che furoiesce dalla terra.

Aquane è un brano sorprendente. Raccontatecene la genesi.

È il brano più lungo del disco e alterna momenti più veloci e pesanti ad altri più ariosi, in cui si intrecciano la voce di Davide e quella di Valentina. La canzone nasce da un’idea di Marco (bassista) e chiaramente si intuiscono i suoi ascolti più legati al metal classico. Gabriel ha invece scritto l’intermezzo (su cui canta lui stesso) e il finale, mentre Ralph Salati in fase di pre-produzione ha contribuito a rendere il tutto più fluido e omogeneo. Quanto al testo, scritto a quattro mani da Becky e Marco, l’ispirazione principale deriva dalla leggenda delle “aquane” o “anguane”, figure femminili simili a driadi o ninfe d’acqua, dei ruscelli e delle grotte, citate in numerose leggende diffuse tra le Alpi. Alcune narrano come le “aquane” si mostrassero a giovani viandanti, che se ne innamoravano perdutamente. Ma, ahimè, con sé portavano anche un terribile destino: pronunciando il loro vero nome, queste eteree figure si sarebbero tramutate nell’acqua stessa, scomparendo per sempre. Nella stesura delle linee vocali abbiamo cercato di richiamare questo rapporto con la contrapposizione e l’intreccio della voce maschile e di quella femminile.

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Ila e le Ninfe di William Waterhouse, 1896. Immagine di pubblico dominio

Per Dusk of the Ages, voi Furor Gallicoavete lavorato con dei grandissimi professionisti del settore. Vi ha arricchito come esperienza? Mi rivolgo soprattutto a Gabriel, che è accreditato come produttore.

Si, ho coprodotto [Gabriel n.d.R.] l’album con Ralph Salati, chitarrista dei Destrage, un grandissimo talento che ci ha aiutato a indirizzare nel verso giusto le nostre idee e rendere il tutto il più compatto possibile. Una volta finita la parte di stesura e di arrangiamento dei brani, entrambi eravamo dell’idea che affidare il mix a Tommy Vetterli (Eluveitie , Coroner, Kreator) e il master a Jens Bogren (Opeth, Amon Amarth, Dimmu Borgir, qui la recensione di Eonian) fosse la scelta migliore. Riuscire a realizzare questo nostro desidero e collaborare con professionisti del genere è stato un piacere e un onore, il loro contributo è stato fondamentale, come testimonia risultato finale.

Il vostro album è molto più variegato dei precedenti: si passa da momenti squisitamente folk a intermezzi prog, e talvolta gli assoli di chitarra sono molto hard rock anni ’90. Quali sono gli ascolti che hanno maggiormente influenzato la composizione di Dusk of the Ages?

Gli ascolti generali dei componenti della band sono incredibilmente vari e ognuno di noi spazia tantissimo tra generi musicali molto diversi. Per quanto riguarda il songwriting, ho cercato di inserire nel contesto della band un riffing tendente al melodic death metal svedese, oltre alla mia idea di strutture più vicine appunto al prog metal, il tutto unito alle idee celtiche/bretoni dell’arpista Becky e alle influenze degli altri membri, cercando di non perdere mai di vista il trademark dei Furor Gallico e dare continuità ai lavori precedenti, per dare alla luce un disco omogeneo, nonostante le varie sfumature sopracitate.

 

Dusk of the Ages è un progetto estremamente ambizioso. Lo ritenete il migliore della vostra carriera, finora?

Siamo molto legati ai due dischi precedenti, ma siamo altrettanto convinti che, per quanto riguarda il songwriting e la produzione, questo album rappresenti un notevole passo avanti e possiamo ritenerci assolutamente soddisfatti.

Tutti i musicisti hanno, il più delle volte, anche se non lo ammettono, dei riti che seguono per incanalare la propria ispirazione. Quali sono le vostre routine di composizione?

In realtà, nulla di particolare: ognuno propone le proprie idee, che cerchiamo di amalgamare nel modo più coerente e migliore possibile. La cosa positiva è che, nonostante i diversi background musicali, ognuno di noi sappia benissimo cosa è adatto alla musica dei Furor Gallico e cosa no.

Siete una di quelle poche metal band che in Italia hanno seguito e supporto, e parlo anche per esperienza personale: vi ho visto nel lontano 2012 al Closer Club. Avete trovato questo calore in altre piazze europee? In molti dicono che i francesi siano estremamente calorosi.

Il Closer è stato il nostro battesimo in territorio romano e non lo dimenticheremo mai. Un saluto e un ringraziamento doveroso al Baffo, elemento fondamentale della scena capitolina e non solo! Suonare nella Capitale, per noi è sempre una grandissima emozione, ma possiamo ritenerci davvero fortunati, dato che l’accoglienza in molte altre città è altrettanto calorosa, sia in Italia che all’estero. Per quello che riguarda il pubblico francese, ti dobbiamo dar ragione. Abbiamo suonato al Cernunnos Pagan Fest[festival francese nella zona di Marne-la-Valleé]nel 2015 e ci torneremo il 24 febbraio per presentare il nuovo album: il pubblico ci ha accolti nel migliore dei modi, facendoci sentire a casa e anche la critica si è espressa in modo incredibilmente positivo nei nostri confronti. Non vediamo l’ora di tornarci!

I Furor Gallico hanno superato indenni la lotta dei tardi 2000/primi ’10 fra ‘truzzi’ e ‘metallari’, quando uscì il vostro primo ep 390 BC: The Glorious Dawn. Come vedete evoluto il clima musicale in Italia, soprattutto nel vostro campo?

Erano decisamente altri tempi e, forse, erano ancora più marcate le differenze tra i vari gruppi giovanili. Oggi non sembra essere più così, per vari motivi, e la cosa non è necessariamente negativa. O magari siamo anche noi che la sentiamo meno, magari perché non siamo più dei teenager. In Italia, credo che la scena metal stia vivendo un buon periodo: oltre ai soliti grossi nomi, che ricoprono il ruolo di baluardo della scena, ci sono molte realtà minori che stanno trovando il loro giusto spazio e stanno ottenendo il successo che meritano. Dal nostro punto di vista, è sempre un piacere condividere il palco con questi musicisti e scoprire che tipo di percorso musicale hanno intrapreso negli anni e quali esperienze li hanno fatti arrivare dove sono.

La musica – anche metal – è andata a evolversi verso una dimensione più “liquida”, in cui i synth la fanno da padrone sugli strumenti fisici. Eppure, voi vi affidate ancora a cornamuse, flauti, arpe, chitarre acustiche tradizionali: vi sentite un unicum?

Non è un aspetto di cui ci preoccupiamo troppo: a noi interessa proporre quello che abbiamo da dire nel modo che ci fa sentire più a nostro agio. Per noi portare sul palco, o in studio, arpa, flauti e bouzouki è normale e naturale.

Cosa consigliereste, voi, come Furor Gallico, ad una band esordiente metal e che vuole rimanere coerente a sé stessa, come avete fatto voi?

Non fatevi influenzare da niente! Finire a fare i marchettari penso non interessi a nessun musicista che abbia qualcosa da dire, quindi dite quello che volete e come volete. Se piacete bene, altrimenti potete vantarvi comunque di essere voi stessi!

Infine, una domandina più personale: gli ascolti preferiti attualmente di tutti i membri della band!

Becky: atmospheric Black metal come Saor, Anathema

Cica: death e brutal death, rock italiano alla 2020, grunge, rock inglese

Gabriel: progressive metal e melodic death, King Crimson, Opeth, PorcupineTree, primi Dream Theater, Pain of Salvation, Tool e At The Gates per citare qualche band

Marco: death, brutal, heavy metal classico, prog rock (tra le mie band preferite, Suffocation, Iron Maiden, Judas Priest, Rush, Katatonia e Anathema) e gruppi extra-metal, come Alice in Chains, Smiths, Morrissey e Jamiroquai.

Mirko: principalmente metal nelle sue sfaccettature più moderne, progressive e sperimentali (Meshuggah, Animals as Leaders, ecc…), ma anche jazz, elettronica e qualunque cosa mi passi per la testa.

 

Grazie della disponibilità! Ci vediamo ai concerti 🙂

Grazie per lo spazio che ci avete concesso, è sempre un piacere. A presto!

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