Il grande pubblico lo ricorda perché ha vinto ben due edizioni di Tale e Quale Show, ma Attilio Fontana è cantante, attore e artista a tutto tondo. Come ci racconta nell’intervista, le sue passioni artistiche sono tante e lui ha cercato di coniugarle nel suo ultimo disco: Sessioni Segrete.
L’album è stato registrato all’Ellington Club, uno dei più importanti locali romani per amanti della buona musica.
Sessioni segrete è quindi un’esibizione dal vivo ma senza pubblico come da Dpcm; un incoraggiamento a resistere e a trasformare anche le difficoltà in opportunità.
Ciao Attilio, è un piacere intervistarti per gli amici di Inside Music. Il tuo nuovo disco è uscito nelle scorse settimane, ci racconti come è nato, dato che ha una genesi particolare?
Questo album nasce dall’esigenza di tornare a celebrare la musica del vivo, quindi è volutamente un disco acustico.
Avevo programmato dei live all’Ellington Club, che è un bellissimo locale di Roma, e, non potendoli fare per gli ovvi motivi che sappiamo, ho chiesto ai proprietari se mi davano il permesso di trasformare il locale, per qualche giorno, in studio di registrazione.
Da qui nasce Sessioni segrete: riporta ai dischi di una volta, quando si appoggiava la punta sulla cera e quello che veniva era il prodotto finito.
Il mio intento era di fare un disco analogico, come fosse una bottiglia di vino da gustare con calma a dispetto di questa ossessione dei numeri, dell’algoritmo e della velocità che abbiamo oggi.
È il desiderio di imbottigliare una cosa vera e sincera, raccogliendo le canzoni più significative dei miei primi due album, più una cover di Renato Zero che fa da locomotiva a tutto il progetto.
È curioso: doveva essere un live e si è trasformato….Segno che bisogna sapersi adattare alle situazioni, tu come hai vissuto questo anno?
Lavorando tantissimo in teatro sono stato un po’ in gabbia perché ho dovuto stare fermo quasi tutto l’anno. Ho perso quattro spettacoli, quindi è stata un’annata abbastanza complicata, per quanto riguarda la professione.
Così ho deciso però di ribaltare tutto in chiave creativa: mi sono messo sotto con questo album, ho riscritto un copione che era rimasto in sospeso….ho cercato di sfruttare questa assenza dalle scene tornando all’arte.
Essendo caratterialmente inquieto, curioso e famelico, cerco di non fermarmi mai, di tenermi in attività, perché, soprattutto in un momento come questo dove l’empatia sta un po’ morendo, è necessario. Il disco è dunque il frutto di quello che è venuto meglio quest’anno.
Ascoltando l’album si viene trasportati in un’atmosfera particolare, lounge/retrò.Ci spieghi in che senso il progetto è dedicato al rituale delle piccole cose?
Con questo progetto intendo un paio di cose: è innanzitutto un disco che ho fatto per celebrare le persone che in tutti questi anni, nel mio andare un po’ confuso nell’arte, mi hanno seguito in una forma più intima, sono stati più attenti. Perché le mie canzoni sono forse la parte meno conosciuta di me, o almeno del me che ha fatto TV e altre cose…
C’è una fetta di pubblico che mi è stato fedele e quindi volevo omaggiare questo rapporto speciale con le persone che sanno apprezzare quelle che ho chiamato le piccole cose, i piccoli rituali, che sanno ascoltare una persona con attenzione.
Poi ho fatto una piccola follia, nel senso che per i primi 200 album fisici a tiratura limitata ho dipinto il testo delle canzoni di Sessioni segrete su una sorta di origami a forma di barchetta, scritto a mano con un acquerello, trasformandolo in una piccola opera d’arte.
Anche aver suonato senza l’utilizzo di nessun aiuto esterno come può essere un computer, è stata una scelta che rende il disco artigianale, un elogio al cesello sotto tanti punti di vista, proprio per esortare chi lo ascolterà a prendersi il giusto tempo, che a volte stiamo perdendo, e instaurare rapporti non dico più profondi ma almeno più attenti.
L’idea di canzoni riprese in questa modalità è molto intima e nuda, riprende il desiderio di riscoprire dei rituali. Ricordo che prima quando ascoltavo un disco era un momento sacro, andavo proprio a cercare questo tipo di album registrati dal vivo.
Quindi è un ritorno nostalgico a qualcosa che puoi toccare, non solo attraverso uno schermo, ma anche un po’ con l’anima, con il sentire.
Mi dicevi che con la tiratura limitata dei CD-Arte hai scelto come amuleto una barca. Ha un significato particolare?
Significa sicuramente lasciare andare queste canzoni come una sorta di messaggio nella bottiglia, come delle barchette, per vedere chi avrà l’amore di accoglierle. Inoltre nelle mie canzoni spesso c’è lista di oggetti, di piccole cose che mi capita di trovare per terra: dadi, carte da gioco, che colleziono e mi sembrano dei segni lasciati lì da chissà chi per me…
Mi piace trovare questi segni mentre vivo, quindi volevo anche esortare a non dimenticare che, a volte, nelle piccole cose ci sono significati grandi. In questo periodo a noi artisti è stato dato degli inutili ma io non dimenticherò mai che mentre stava per nascere il mio primo figlio dentro l’ascensore c’era una canzone di Vasco Rossi.
La mia vita senza quella canzone non sarebbe la stessa, quindi evidentemente non siamo così inutili.
Ci sono canzoni che ci segnano profondamente anche senza che ce ne accorgiamo, ci accompagnano, ci fanno da colonna sonora per tutta la vita e perciò ho voluto fare un gesto d’amore nei confronti delle mie canzoni, ma anche di chi ha ancora quel tipo di attenzione bella nei confronti di quello che fa un artista.
Siccome io ce l’ho avuta per gli artisti che ho amato e vedo che alcune persone ce l’hanno con me, lo trovo piccolo un segno ma grande nel significato.
Nei tuoi lavori ci sono spesso dei sodalizi, per esempio con il chitarrista Franco Ventura; fa parte delle piccole cose anche avere una buona spalla sul palco?
Con Franco ormai abbiamo un rapporto padre e figlio, artisticamente parlando, però anche nella vita ci siamo trovati. È una collaborazione che nasce vent’anni fa: stavamo nello stesso studio, ma in stanze diverse e tra l’altro quando Franco suonava a Roma lo andavo spesso a sentire, per come suonava il blues.
Lui ha fatto la storia della discografia italiana: suonava con Ramazzotti, Bocelli, con Nada negli anni 70, Mia Martini e per me sapere che stava nella porta accanto, era qualcosa di molto bello. Un giorno gli chiesi se mi regalava un assolo di chitarra su un brano e da quel giorno non ci siamo più separati.
Abbiamo iniziato a lavorare assieme, a scrivere insieme, abbiamo fatto musica per film, per il teatro ed è cominciato questo viaggio nella musica con Franco che poi non è mai terminato.
È una sorta di sodalizio artistico in cui ci accomunano l’amore per la musica latina e il gusto un po’ retrò di omaggiare l’enciclopedia della musica che entrambi abbiamo amato e abbiamo messo nelle nostre canzoni.
In realtà, la parte delle musiche, spesso e volentieri, le scrivo proprio con Franco, mentre i testi sono i miei.
È un’alchimia che dura da tanto tempo anche nel live, a volte suoniamo con due chitarre però, come per i gruppi degli anni 70, sembra che siamo in otto sul palco.
Questa magia sonora la puoi generare solo con qualcuno con cui hai un feeling veramente forte. Siamo una sorta di coppia stramba di musicanti che suonano insieme ormai da vent’anni.
Il Triangolo di Renato Zero, del quale hai inserito la cover nel tuo disco, ha una parte strumentale che hai dichiaratamente lasciato così per esorcizzare questo anno, cantando sotto la doccia o in macchina un liberatorio:
lui chi è? Pensi che la forza catartica della musica sia stata amplificata dal momento che stiamo vivendo?
Se c’è qualcuno a cui dedicare Lui chi è? sicuramente è a questo intruso (ndr. il covid), che ci ha cambiato la vita e l’intimità perché siamo pieni di maschere, di protezioni, di guanti… Il toccare l’altro, a livello empatico, è diventato un enorme limite e questa cosa io la soffro molto.
Nella canzone c’è solo lo strumentale, ma ogni volta che la facciamo dal vivo alle persone viene spontaneo cantare il coretto come nella versione originale, ci piaceva l’idea di lasciare questo spazio interattivo anche nel disco, facendo sì che almeno nella sua mente, anche chi non vuole cantare, canticchi mentalmente: lui chi è?
Il mare ha un testo che mi ha colpito molto. C’è una traccia a cui sei particolarmente legato?
Ti vengo incontro perché ogni canzone per me è particolare però Il mare, visto che me l’hai chiesto, è l’unica canzone, insieme ad altre due, in tutta la mia vita, che è nata una sera, dopo una burrasca emotiva, non marina….
Ho fatto una corsa in macchina verso il mare, ero molto arrabbiato, sono arrivato in una Ostia deserta e l’ho scritta lì, sul pontile, dall’inizio alla fine, con un foglietto e una penna che ho trovato in macchina.
Volevo celebrare questo personaggio che ti può influenzare la vita, cambiarla, farti innamorare ma farti anche disperare. Quindi mi sembrava che contenesse qualcosa di grande come il mare e sono felice di aver scritto questa canzone ,perché è un po’ il manifesto di questo personaggio che io reputo il più famoso del mondo.
Intervista a cura di Alessia Andreon
