Home Approfondimenti Intervista ad Alex Gasparotto, musicista, insegnante e direttore della scuola di musica Lizard di Gallarate

Intervista ad Alex Gasparotto, musicista, insegnante e direttore della scuola di musica Lizard di Gallarate

by InsideMusic
Alex Gasparotto

Alex: “L’arte è un’ancora di salvezza, ne sono convintissimo”

Già Marcel Proust riconosceva il potere educativo della musica come alternativa al linguaggio parlato e scritto. In effetti difficilmente troveremo ricordi rilevanti della nostra vita affettiva che non siano legati a melodie o canzoni, oltre che a parole e gesti. Nel progetto didattico l’educazione musicale non è secondaria, anzi, assume un valore aggiunto. Il far musica a scuola, con la voce, con gli strumenti, con i mezzi a disposizione, permette ai bambini di esplorare la propria emotività, di scoprire la dimensione interiore e quindi di sviluppare e affinare la propria affettività. E proprio questa è la missione della scuola musicale Lizard di Gallarate e del suo direttore Alex Gasparotto con cui abbiamo l’onore ed il piacere di scambiare quattro chiacchiere.

Ciao Alex, benvenuto su Inside Music, sei polistrumentista, compositore, arrangiatore e direttore della scuola di musica Lizard Gallarate, ci racconti la genesi di questo amore per la musica in tutte le sue forme?
Ciao a tutti, ciao Inside Music. Tutto il percorso è iniziato quando ero davvero piccolino, già dalle elementari mi piaceva la musica, ci ballavo sopra, poi ho frequentato alle medie ho frequentato una scuola ad indirizzo musicale dove ho studiato chitarra classica. In questa scuola un insegnante di teoria della musica e canto corale in seconda media ci assegnò un compito cioè di provare a scrivere una canzone, compito che io ho eseguito provando tutto il percorso di scrittura molto divertente e così proprio a undici anni ho iniziato a comporre le mie prime canzoni. Ovviamente rilette adesso, col senno di poi, fanno un po’ sorridere, ma all’epoca ci credevo davvero tanto. È così che è nata la passione, come se fosse un gioco e come se potessi esprimere me stesso attraverso la musica.

Nel 2016 ti sei aggiudicato il Premio Mimì, un ambitissimo riconoscimento che viene assegnato ai musicisti che si sono distinti in memoria di Mia Martini. Quest’anno il talento della Martini è stato particolarmente in vista grazie alla serie TV dedicatale, che esperienza è stata quella?
Un’esperienza molto gratificante perché inaspettata, ho avuto la possibilità di conoscere anche il papà di Mia Martini e Loredana Bertè che mi ha fatto i suoi complimenti, nel momento in cui mi sono esibito legando il brano dell’Hallelujah con uno di Mia Martini si è molto commosso e mi ha invitato anche a casa sua. Credo che sia stato un meraviglioso riconoscimento per me, la voce della Martini poi è una delle più belle del panorama italiano ma anche mondiale.

A proposito di esperienze singolari ed edificanti, non possiamo non ricordare che hai diretto l’orchestra al Teatro Ariston di Sanremo, nell’edizione del Festival 2011, sul brano di una concorrente della sezione Giovani – Gabriella Ferroni – su un pezzo da te musicato. Che aria si respira li, intorno alle varie professionalità che ruotano attorno ad ogni singola esibizione, in un palco così in vista?
Su questo argomento ci sarebbe davvero tantissimo da dire perché è stata una settimana ricchissima di emozioni e di eventi. Ho avuto la possibilità anche lì un po’ per gioco, perché mi sono trovato ad arrangiare il brano della Ferroni, è piaciuto molto l’arrangiamento e mi hanno proposto di dirigere l’orchestra, ho rifiutato per due volte perché fondamentalmente me la facevo sotto, poi mi hanno spronato spingendo sul fatto che il pezzo lo avevo scritto quindi sapevo maneggiarlo bene e così mi sono lanciato. Il mio vero Sanremo però l’ho vissuto alle prove con l’orchestra, il protocollo della kermesse ti dà la possibilità di fare due prove, una a Roma e una al Teatro Ariston, in cui tu vai a sistemare tutta la parte strumentale con l’orchestra. Io ero molto emozionato quando mi sono trovato in mezzo a tutti questi gran maestri che suonavano ciò che avevo musicato; è stato tutto molto eccitante, io ero molto agitato perché loro sono comunque grandissimi professionisti. Io ero molto giovane, non avevo neppure trent’anni ancora e mi dovevo confrontare con maestri del calibro di Beppe Vessicchio che hanno fatto la storia del Festival di Sanremo e non solo, una responsabilità grandissima per me. Quella settimana è stata davvero molto intensa, l’ipotesi di dormire non si prendeva proprio in considerazione, il tempo non speso in prove si riempiva con la promozione del brano in giro per le radio e per le varie interviste. Il fatto che poi io fossi molto giovane ha generato anche questo aneddoto molto carino e singolare: avevo la giacca ma sotto avevo i jeans e le scarpe da ginnastica della Puma rossa per dirigere l’orchestra, una versione rock del direttore d’orchestra. La mia gioventù poi non mi faceva neppure prendere molto in considerazione, il momento dell’esibizione di Gabriella arrivava dopo la pubblicità, e in questo momento di pausa gli orchestrali approfittano per alzarsi, sgranchirsi le gambe e poi si rimettono a sedere quando viene dato l’annuncio, perché essendo una diretta tutto deve essere fatto ad hoc. Nel momento di questo annuncio si avvicina una persona e mi dice “lei si deve sedere”, dato l’outfit probabilmente non immaginava fossi il Maestro.

Torniamo a te, hai scritto tre musical, recitato su palchi, fatto il chitarrista per il piccolo e grande schermo, musicato due cortometraggi, composto canzoni, jingle pubblicitari, fatto la voce canora di uno dei personaggi del cartone animato in onda su Sky “Fresh beat band of spies” e adesso hai deciso di mettere tutte queste competenze a disposizione dei più giovani, creando e dirigendo la scuola Lizard di Varese. Quanto talento e voglia di fare riscontri in queste nuove generazioni?
Io amo tantissimo insegnare, è una cosa che mi piace proprio molto fare perché la passione che ho e che metto in ciò che faccio cerco di trasmetterla alle altre persone e quindi a queste nuove generazioni. Ci sono due categorie di giovani: quelli che hanno un gran talento ma hanno anche tanta testa e voglia di fare, si lasciano davvero coinvolgere, non solo dalla passione che posso mettere io nell’insegnamento così come i miei colleghi insegnanti, ma ci mettono proprio del loro, gli piace, vogliono studiare. L’altra categoria è di ragazzi che si trovano con un bellissimo talento ma che fanno fatica. Ho riscontrato questa differenza proprio nel crederci, non tanto nello studiare perché anche quest’ultimi studiano, ma proprio nella motivazione. È una differenza notevole anche rispetto a quando studiavo io che percorrevo i chilometri per andare a fare le lezioni, ho fatto di tutto e di più per potermi mettere in gioco, per rischiare anche di fare figuracce perché fa parte del gioco, invece oggi mi confronto con giovani che si sottovalutano molto, e da insegnante bisogna tirar fuori la fiducia nel loro talento, invitarli a crederci in quello che fanno e a versare in sangue per inseguire i loro sogni.

Questa differenza di approccio verso lo studio e il credere nei propri sogni, rispetto alla tua generazione, l’associ più ad una pigrizia generazionale o ad una disillusione?
Un po’ entrambe le cose, il fatto di non avere delle “sicurezze” che sono comunque delle illusioni, di aver paura di non sapere quello che si andrà a fare e come lo si andrà a fare, quello sicuramente incide, ma c’è anche un fondo di pigrizia. Ho trovato questa tendenza a fare con molta meno serietà le cose, ad esempio quando io assegno un compito c’è chi mi arriva con il compitino fatto appena appena e chi invece ci mette molto più impegno e va oltre nell’argomento. Io mi rendo conto che faccio miliardi di cose al giorno e comunque trovo sempre il tempo di farle tutte e non capisco come mai magari altre persone no. La scuola sicuramente è molto impegnativa e porta via tantissimo tempo, ma ho iniziato ad esibirmi nei locali che frequentavo il terzo liceo e suonavo il venerdì e il sabato, quegli stessi giorni andavo a scuola e ci andavo con le occhiaie, ma ci andavo e contemporaneamente suonavo, perché c’era la volontà, la voglia di fare le cose.

Nella tua Accademia di formazione metti a disposizione gli strumenti e le professionalità per lasciare crescere e formarsi giovani allievi talentuosi, un po’ come si professano di fare i vari talent della tv. Cosa ne pensi di questo fenomeno di massificazione del talento al cospetto dello show e dei vari share?
E qua apriamo un mondo (ndr: risate). Io non sono contro i talent show in realtà, non credo che va a fare i talent sia da sottovalutare, anzi penso che purtroppo sia uno degli unici modi per poter emergere a livello discografico e come cantante. Le case discografiche in questo momento hanno questo canale come reclutamento dei nuovi artisti su cui investire. Dico sfortunatamente perché si va a perdere tutto quello che dovrebbe essere la nascita di un artista e della sua musica. Il protocollo attuale prevede che l’artista faccia la sua promozione facendo il talent show, quindi le label prendono chi esce dal format e gli fanno fare un disco, magari questa persona non ha mai scritto nulla nella vita e si è trovata a fare il talent show perché adesso tutti ambiscono a questo, così ci ritroviamo artisti che diventano – a causa del sistema – usa e getta; persone anche con un potenziale incredibile ma vengono bruciate perché l’anno successivo saranno sostituite dal nuovo talento del format. Poi va considerato che non abbiamo un talent solo, ma ne abbiamo tanti in Italia e non riescono a far formare davvero questi giovani talenti come artisti, l’80% di chi arriva alle fasi finali di questi talent ha qualcosa da dire e meriterebbe un successo e una carriera musicale, ma viene bruciato. Chi rimane davvero nella memoria collettiva sono davvero molto pochi, penso a Marco Mengoni, Emma Marrone, la Amoroso; nomi che paragonati al fatto che ogni anno abbiamo dieci concorrenti di X-Factor, dieci di The Voice, dieci di Amici, dieci di Italian’s Got Talent, quaranta possibili artisti in tutto, ma alla fine chi rimane sono tre persone. È un peccato per la loro musica perché non ha la possibilità di crescere.  Lo ripeto, non sono contro al concetto di talent né al fatto di fare show anche in questa forma, mi spiace soltanto che non ci sia anche il resto.

Parliamo del “Coro delle Voci Libere”, creato da te e dalla tua socia Roberta Raschellà, che ha dato la possibilità a ragazzi con disagi mentali di fare gruppo, mettersi in gioco ed esibirsi. Cosa ti porti dentro dopo questa esperienza con ragazzi diversamente abili?
È un’esperienza fantastica, ho iniziato sei anni fa come volontario e – per poter organizzare meglio un programma e un progetto con loro – ho coinvolto Roberta Raschellà, la mia socia e direttrice della scuola, e abbiamo strutturato in modo più serio questo progetto. Questo percorso sta proseguendo stabilmente negli anni, ci vediamo tutti i martedì mattina e facciamo due ore di musica insieme e in queste ore succedono delle cose bellissime; c’è la possibilità da parte di tutti noi di utilizzare un linguaggio non convenzionale che è quello della musica per poter esprimere le nostre emozioni. Con queste premesse riusciamo a fare un vero percorso didattico perché il coro piano piano cresce anche a livello tecnico dato che si studiano dei brani insieme e siamo arrivati anche a scrivere dei brani, io mettevo giù una linea armonica e ognuno provava a cantare un suo pezzettino inventando delle melodie, le univamo insieme e da questo nasceva il nostro inno. Li ho portati in studio di registrazione, abbiamo registrato questo brano e grazie a ciò questi ragazzi hanno fatto un’esperienza unica, che magari altri ragazzi senza disagi mentali non possono fare. Un’altra cosa importante è che siamo riusciti a portarli fuori dal loro centro, quindi già il solo fatto di uscire per fare un’attività, è per loro a livello terapeutico molto importante. Chiaramente io non sono uno psicoterapeuta né uno psichiatra, non ho queste competenze e mi limito a fare musica ed entrare in empatia con loro, però i professionisti mi dicono che questa attività – oltre ad essere molto gradita – è molto valida per il loro percorso terapeutico. La mia vicinanza verso le persone con disagi si estende anche al mio insegnamento di teoria della musica in Svizzera, in una clinica per persone affette da autismo ed anche lì ho riscontrato una bellissima energia che viene fuori dalla musica. Io mi porto dentro delle esperienze fantastiche dal punto di vista umano, prima che da musicista.

In un contesto geopolitico così controverso in questo momento nel nostro paese c’è ancora chi si addossa l’onere e l’onore di insegnare la bellezza attraverso le arti. Questa potrà davvero salvarci, per dirla alla Dostoevski?
Secondo me sì, è forse una delle poche cose che ci rende umani ed esalta la nostra umanità. L’arte ci può salvare, ci può essere d’aiuto nei momenti bui, quindi decisamente sì. L’arte è un’ancora di salvezza, ne sono convintissimo.

Qualche appuntamento che ti va di ricordarci?
Il 26 maggio con i miei ragazzi faremo uno spettacolo in Villa Montevecchio fatto proprio da loro; noi ogni anno anziché preparare il classico saggio creiamo una sorta di spettacolo dove facciamo interagire fra di loro tutti i nostri allievi.
Siete tutti invitati quindi allo spettacolo di musica della Scuola Lizard di Gallarate, che copre appunto la sede Lizard e la provincia di Varese.

Foto di Massimo Tuzio

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