Intervista a Mauràs: “Più che produttore mi definirei beatmaker”

di Antonio Sartori

“DICO SEMPRE LA VERITÀ” è il titolo del primo disco solista di MAURÀS.  L’album, uscito per l’etichetta Bonnot Music, è stato interamente curato da Bonnot, storico produttore degli Assalti Frontali. Rapper, dj, beatmaker torinese, Mauràs, al secolo Mauro Sità, realizza ora il suo primo disco da solista che è stato anticipato dal video e singolo “Capitalunedì”, che vede la presenza di due colossi del rap italiano come INOKI NESS e  WILLIE PEYOTE, oltre al lavoro di produzione di BONNOT, seguito dal secondo estratto, la title track “Dico sempre la verità”. Nel disco anche il featuring con Frank Sativa che firma la produzione di un brano e la presenza alle batterie di Enrico Matta aka Ninja ed Ermanno Fabbri alle chitarre. Il nuovo album racchiude tutti gli stili e le esperienze maturate in questi anni dall’artista, attivo da diversi anni nella scena (esordisce con i Funk Famiglia, è tra i fondatori dei Poor Man Style e, come produttore, ha collaborato con numerosi artisti dell’ambiente torinese tra cui Willie Peyote per il quale ha prodotto due canzoni del disco “Educazione Sabauda”).
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui su nuovo progetto e futuro musicale.

 Ciao Mauràs, benvenuto a Gioved-Indie, la rubrica più indipendente del web.
Domanda di rito: cos’è per te l’indie e cosa si mantiene ancora indipendente?

Io la parola indie l’ho sempre associata al mercato indipendente: per me significa fare musicalmente il cazzo che ti pare, non avere nessuna etichetta o stereotipo attaccato sulla schiena ma scrivere e fare musica seguendo il proprio flusso creativo.

Forse la definizione stessa di Indie ad oggi si è persa un po’.

Sì, sinceramnete manca un po’ di spontaneità, non so se sia dovuto al percorso di alcuni artisti, ma credo che sia la cosa più bella da conservare in musica: io punto sempre alla spontaneità, senza sentire la necessità di indossare maschere.

La cosa che balza subito all’occhio nel tuo disco è la raffinatezza della sua produzione, i suoni scelti, il calore che il sound curato da Bonnot emana.
Tra l’altro hanno partecipato veri e propri highlander della scena musicale italiana, basti pensare a Ninja (dei Subsonica, ndr) Ermanno Fabbri, o allo stesso Bonnot.
In queste scelte stilistiche quanto ha inciso il tuo passato da produttore e che esperienza invece è stata essere prodotti?

Io ho sempre creato beat, per cui più che produttore mi definirei beatmaker.
Dopo aver conosciuto Bonnot ho potuto dedicarmi totalmente alla scrittura: ho trovato davvero un mega king delle produzioni, oltre che una serie di persone di una professionalità fuori dalla norma che mi hanno aiutato. lavorando al disco.
La straordinarietà di Bonnot è stata quella di riuscire sempre a trovare il suono giusto per quello che scrivevo, ha cucito tanti abiti su misura rispetto alle mie parole, ci siamo divertiti tantissimo.

In questo senso forse ti ha aiutato a trovare quella libertà e spontaneità di cui parlavi prima.

Esatto, sapendo che le basi e le produzioni musicali erano tutte a carico suo avevo la libertà di stare potenzialmente anche una settimana solo su una strofa o una parola. Concentrarmi solo sulla scrittura è stato un bel risultato, mi rivedo molto in quello che ho fatto e da adesso in poi questo procedimento sarà sempre più facile e immediato.

Nelle strumentazioni è presente un richiamo fortissimo al vintage: chitarre del ’78, Telecaster ’78, l’amplificatore Ampex dei Green Day, il microfono di Freddie Mercury (come affermato dallo stesso Bonnot)… questa tendenza è l’espressione di un’esigenza di differenziazione rispetto all’omologazione del presente?

È il simbolo della fine di un percorso: Bonnot ha acquisito questa strumentazione negli anni, seguendo un certo tipo di suono e un certo tipo di modo di fate musica.
Ci siamo trovati subito perché anche a me piace quel sound e quell’attitudine rispetto alla musica; anche i suoni più elementari in realtà sono pensati, sono frutto di grande lavoro e ricerca.
Questo forse sarà un procedimento un po’ maniacale, però ne sentivamo la necessità: i suoni in giro ultimamente sono troppo freddi, abbiamo voluto dare una scaldata alla scena.

Quindi più che altro si tratta di una questione stilistica.

Sì, ma fa anche parte del nostro modo di essere e di vivere la vita.
Che poi si tratta di quell’approccio e di quei suoni che non passano mai di moda, pensa a Bruno Mars: ha riportato di moda quella roba lì con novità e lungimiranza, ma senza disdegnare le cose fighe del passato.

A proposito invece di presente, nella prima traccia di “Dico Sempre la Verità”, ovvero “Capitalunedì”, hai collaborato con Willie Peyote, uno dei più interessanti rapper attualmente sulla scena (scelto peraltro dagli stessi Subsonica per un featuring e anche per seguirli in tour), mentre in “Air bnb” è presente il featuring di Frank Sativa, storico collaboratore dello stesso Guglielmo.
Come è stato collaborare con due persone affette (simpaticamente) dalla “Sindrome di Tourette”?

Loro li conosco e li frequento da un po’, ho vissuto e seguito la loro crescita artistica degli ultimi anni da molto vicino, di fatto abbiamo già lavorato assieme in precedenza.
Per Willy avevo già fatto degli scratch di qualche vecchio album, e poi in realtà abbiamo vissuto anche assieme: son state molte le occasioni di parlare, sia di cose serie che di alcune stupide, ed è nata una bella amicizia.

In fondo musicalmente ci piace la stessa roba, siamo cresciuti con le stesse cose, con questo progetto è come se tutto tornasse: questo è il mio disco più importante e mi sembrava giusto avere anche loro.

Mi ha fatto felice che loro potessero essere dispinibili, perché sono sempre pieni di impegni e non sempre è scontato: sono enormemente grato, queste due canzoni fanno parte del bel percorso che si è sviluppato negli ultimi anni.

Nella title track ti schieri contro i trapper, o meglio, esprimi ciò che probabilmente molti dei tuoi colleghi non hanno il coraggio di denunciare.
Questa stessa operazione è stata intrapresa anche da Silvestri con un brano presente nel suo ultimo album, forse sintomo del fatto che con l’età adulta certi valori inizino a tornare necessari.
In cosa pensi si stia davvero peccando da un punto di vista artistico? Nella pochezza del linguaggio, nella vuotezza di contenuti…?

Sicuramenre la pochezza di linguaggio è presente, l’impoverimento è tangibile, però io non ho voluto scherarmi contro i trapper, non ne sento l’esigenza.
Silvestri ha fatto una cosa più mirata, io invece l’ho girata più sull’aspetto del copiare dall’estero senza modificare nulla, non a caso ho citato anche Zucchero.

Nonostante io non sia un grande fan della trap non disdegno nulla, essendo un ascoltatore maniacale di musica ascolto di tutto, vecchio e nuovo che sia.
Purtroppo in italia della trap è arrivato solo il lato più vuoto, più di facciata, quello più stupido e legato al personaggio. Speriamo che andando avanti ci sia un arricchimento contenutistico anche per quanto riguarda questo genere.

Il dramma di oggi è che si stia un po’ tutto uniformando, sia a livello stilistico che musicale: tutti indossano gli stessi outfit, tutti portano le stesse sonorità… il brano parla di quello, è stato scritto per farsi quattro risate: non scrivo contro nessuno, il mio atteggiamento è sempre molto propositivo.

Questo concetto viene rimarcato anche all’interno del brano “Balenciaga”, titolo che premde il nome da un brand che in parte sembra essere davvero uno schiaffo in faccia a certe realtà disagiate dei giorni nostri.

È un po’ un ridicolizzare un oggetto di lusso, anche in questo caso è un’occasione per ridere: il rap è sempre stato rivoluzionario, anche dal punto di vista del vestiario, la cultura black e l’hip-hop hanno sempre portato innovazioni, ultimamente invece gli artisti preferiscono seguire il trend.
Ho preso le Balenciaga come simbolo perché spendere seicento euro per un pezzo di plastica che assomiglia ad una calza con la suola mi pare insensato. (Ride, ndr)

Esistono oggetti che nascono da una lavorazione accurata o che sono composti da materiali pregiati, ma in questo caso mi pare una genialata fatta ad hoc per vendere, scommetto che se costassero 50 euro non le comprerebbe nessuno.

Da un mondo “In confusione”, come lo etichetti tu, in cui si corre dietro al più forte, si vive in una sorta di demagogia imperante e si sceglie il partito politico che finge di farci sentire al sicuro, scegliendo periodicamente dei nemici da combattere, qual è la tua formula magica per uscirne vivi?

Guarda, di formule io non ne ho, ho semplicemente voluto descrivere il mondo che ci circonda, è una fotogragia scattata con le parole.
Penso che “confusione” sia la parola che si addica di più, per quanto riguarda l’aspetto politico e sociale, così come quello musicale.

Non scordiamoci però che la confusione possa essere positiva: scendere nell’abisso può essere uno stimolo per ripartire, in musica ad esempio si stanno formando dei melting pot interessanti di vari generi e di vari sound, sarebbe bello che succedesse anche in società.

Per uscirne vivi bisogna solo aspettare e seminare, ci vorranno almeno un paio di generazioni: i bambini di oggi si stanno già mischiando nelle scuole, ci sono finalmente degli italiani con il colore della pelle diverso dalla nostra, di fatto sta succedendo quello che già accade nel resto di tutta europa, vedi Inghilterra, Francia o Germania.
Noi arriviamo sempre 10 anni dopo in tutto, per quello dico che bisogna solo aspettare, e in questo aspettare ho provato a fare un disco principalmente di bella musica, in modo da essere comprensibile a tutti.

Portando avanti questo tuo parallelismo fra musica e società, in musica negli ultimi anni stanno tornando di voga sonorità datate anni ’80 e ’90: in questo senso anche in società avrebbe senso riprendere slcune istanze lasciate indietro negli anni e dimenticate, oppure sarebbe più utile cercare di guardare avanti e creare un qualcosa di radicalmente nuovo, sia in musica che in società?

Probabilmente l’ideale sarebbe un miscuglio di tutte e due le cose, così come le Converse All Star van sempre bene, e quindi le abbiamo ritirate fuori, allo stesso modo potremmo riportare in auge certe istanze che paiono essere fuori dal tempo o che addirittura sono state cancellate dall’agenda politica, come ad esempio i diritti dei lavoratori, mi viene da pensare alle questioni che riguardano i rider.

Può esserci dell’innovazione su come viene organizzato il lavoro, ma sulle tutele di chi lo svolge non ci possono essere dubbi: gli ottenimenti derivati dalle battaglie del passato vanno conservati.

Prima hai parlato di immagini e del tuo temtatico di descrivere il nostro mondo attraverso le immagini: c’è unimmagine in particolare alla quale sei legato per descrivere quest’album?

Non saprei, la canzone che mi piace di più è “In confusione”, perché si compone di tante fororafie messe assieme che alla fine dipingono il quadro dei giorni nostri.
L’immagine giusta però forse è un miscuglio fra quella canzone lì e l’ironia e la leggerezza che si può trovare nelle altre, non a caso abbiamo voluto tenere un’atmosfera alta di gioia e festa nonostante a volte siano presenti anche delle immagini abbastanza amare: il disco l’ho pensato forse come se dovessi rispondere a questa tua domanda.

Quando Bonnot mi disse che il titolo secondo lui doveva essere “Dico sempre la verità”, e quando ho visto il grafico che ha fatto la prova di copertina, mi ci sono veramente rivisto e ho rivisto un po’ il tutto.

L’immagine del salto è anche un modo per dire “buttiamoci”, proviamo a cambiare le cose, a fare dei passi: piuttosto sbagliando, ma capendo dove abbiano sbagliato e tornando indietro arricchiti da ulteriore esperienza.
Il salto è l’immagine giusta.

Domanda conclusiva: Se potessi scegliere un tuo collega a cui mandare un messaggio, chi sarebbe e cosa gli diresti?

Questa è una domanda cattiva, potrei vincere facile dicendoti: “Willie Peyote continua così”.
Che poi è quello che gli dico sempre: qualche tempo fa era un po’che non ci vedevamo, quindi gli ho mandato un messaggio in cui mi complimentavo e in cui lo ringraziavo per non esserti vestito da donna, “sei una speranza” (ride).

A parte gli scherzi, c’è davvero bisogno che artisti come lui continuino a far bene per dimostrare alle persone, sopratutto a quelle più giovani, che esistono vari modi di approcciarsi a questa disciplina, vari modi di far musica e di fare rap.

L’immagine che viene data di noi al grande pubblico è troppo omogenea ed è sempre negativa, vengono filtrate le notizie peggiori nel modo peggiore, spesso fazioso: vedi Sfera Ebbasta dopo Corinaldo o Achille Lauro a Striscia la Notizia, si associano sempre i rapper alla droga, sono stereotipi che hanno rotto le palle.
È bene quindi che certe persone come Willie, o come Rancore a Sanremo, riescano ad arrivare su certi palchi, dimostrando la crescita di un panorama musicale pronto a fornire suoni sempre nuovi.

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