Il Sogno Ribelle dei RadioAttiva – Intervista

di InsideMusic

Quello dei RadioAttiva, rock band romana, è un progetto alquanto sui generis, non solo musicale ma anche schiettamente ideologico e socialmente impegnato. Andiamo a scoprire, nelle seguenti domande, il “sogno ribelle” di Alessandro Dionisi e Claudio Scorcelletti.

 

Parlando di Rdioattiva affermate del trattarsi di un progetto non solo esclusivamente musicale ma che tenta di abbracciare l’arte a 360 gradi. In che modo lo fate?

Alessandro – Innanzitutto si tratta di avere un progetto base, quello di riuscire a coinvolgere più persone, far vincere il progetto affinché le persone riescano ad affezionarsi. Ovviamente in tutto ciò contribuiscono gli interessi che una persona ha. Una mia idea è stata quella che Mediterranea potrebbe un domani anche diventare un progetto teatrale e, in questo caso, potrebbero anche cambiare i musicisti a secondo del modo in cui si vuole evolvere il progetto (che vada dal classico o verso derive più elettroniche). Sono dell’idea che l’arte debba essere a 360 gradi, ovviamente dipende dalla testa delle persone.

Claudio – La collaborazione è fondamentale, non è un problema per noi aprirci collaborazioni con diversi musicisti e diverse personalità. Chi vuol venire a suonare con noi dei brani è liberissimo di farlo.

Radioattiva è un progetto che viene accostato al concetto di “Sogno Ribelle”. Cosa significa, in particolare, per voi questa definizione?

 Alessandro – Per me è stato un accostamento che, naturalmente, mi ha reso felice e vincente. Un eroe per un giorno perché sogno ribelle è un album, una raccolta dei Litfiba. Tutti conoscono la passione che ho per i Litfiba e per Piero Pelù. Parlando con Emiliano (un mio amico musicista) ci siamo ritrovati a parlare della musica, del rock degli anni 90 italiano. Sogno ribelle è uno dei picchi della scena del rock italiana. L’accostamento non è solo musicale ma anche ideologico. Io personalmente sono molto ribelle e, probabilmente, proseguirò fin dentro la mia vecchiaia così. È un fatto di nervi, di tensione, di adrenalina. Nella musica sono molto diretto e neorealista, una parte di me guarda sempre al sociale e a tematiche particolari e questa è la parte ribelle che ho dentro.

Claudio – Possiamo definirci come musicisti anticonformisti. Quello che ci accomuna è la radioattività al “conformismo” e a nostro modo lo combattiamo scrivendo canzoni.

 

Qual è lo scopo con cui è nato questo progetto?

Io e Claudio venivamo già da un altro gruppo, da cui siamo fuoriusciti. Il nostro è un progetto nato nella semplicità, io e lui ci conoscevamo da due anni e avevamo fatto live e pezzi assieme. Ho avuto modo di vedere Claudio crescere dal punto di vista musicale, di veder crescere la usa ribellione, che fa sempre sentire attraverso le corde della sua chitarra mentre io la esterno più con la voce, il mio strumento. Nei nostri caratteri, a nostro modo, la ribellione era già dentro. Alla fine, lo scopo finale, è rappresentare in musica la nostra dissenso, ma non solo, farci conoscere a 360° con una musica di semplice fattura, allo scopo di far recepire il messaggio. Da qui viene anche la scelta di scrivere in Italiano, in modo che tutti recepiscano il più rapidamente possibile, per me la musica è comunicazione. Scrivere italiano non significa per noi essere patriottici! Tanto per chiarirci in partenza….

 

Qual è il modo in cui nascono le vostre canzoni? Partite da una tematica particolare da voler affrontare, a cui associate poi un contesto musicale opportuno? O forse anche l’opposto?

 Claudio – in qualche modo partiamo in maniera parallela, Ale ha un quadernone pieno di testi e racconti che non vede l’ora di musicare, capita spesso che mi metta con la chitarra e cerchi di tirar fuori dei riff, dei pattern che mi escono in quel momento e li registro. Magari il giorno dopo ne trovo un altro e cerco di concatenarli. Questo è il modo in cui sono nate canzoni come la Peggio Gioventù, Pik, o Piccola ribelle.

Alessandro – la nostra fortuna è stata che siamo abbastanza veloci, ci capiamo facilmente. Non abbiamo quindi perso così tanto tempo per incastrare metrica e musica, questa la chiamo alchimia.

Chi sono gli artisti a cui fate, per il vostro stile, principalmente riferimento? Andando a sentire i pezzi si notano, spesso, un miscellaneo di differenti sonorità, dall’hard rock, alla musica più ambient e riflessiva passando per innesti anche orchestrali.


Alessandro – Io sono nato e cresciuto con il Grunge e ho voluto appositamente portare del Grunge in questo primo lavoro dei Radioattiva. Si passa dai Nirvana, Alice in Chains, Faith No More Soundgarden, tutte band che ho portato dentro. Ci sta anche la parte del rock anni 90, da cui viene una parte “indie”, tra cui i primi lavori di Radiohead, Garbage e, infine, tre grandi gruppi italiani che mi son portato dietro che sono Litfiba, Timoria e Marlene Kuntz. Per le parti orchestrali dobbiamo ringraziare Emanuele (produttore) che ci ha dato una grande mano lavorando in autonomia. Il trip pop, poi, è stata la scoperta di un genere in comune che ci piace e che ha portato alla realizzazione de “Il volto comune”, brano a cui tengo molto.

 Claudio – questo primo lavoro ha molte influenze. Adoro il grunge da Pearl jam, Soundgarden, Alice in chains. Per quanto riguarda le parti più rock grezze ho ascoltato molto gli Offspring (con Americana, primo ascolto rock con cassetta e walkman). A entrambi poi piacciono molto i CFI, in qualche modo possiamo ricordare album come linea gotica.

 I testi, in molti casi, appaiono apparentemente piuttosto criptici, tendendo al metaforico. Qual è il motivo di questa scelta artisitca?

Alessandro – Alcuni dei testi sono molto diretti, come il volto comune o la peggio gioventù. Ci sono anche testi che sono storie vere quali Pik e Piccola Ribelle. La prima fa parte del lato testuale più criptico. Anche gli altri testi hanno una parte un poco più criptica, penso ad Istinti Distanti dove entrano in gioco i sentimenti… Quando ho scritto Mediterranea ho preferito ragionare immergendomi nella testa di una madre che vede partire il proprio figlio per un viaggio che ritiene possa essere importante, possa farlo uscire da una situazione difficile che vive all’interno del proprio paese. Poteva nascere, in ogni caso, solo un testo criptico perché ho cercato di entrare dentro la cultura africana. Ho parlato con moltissimi ragazzi del Senegal, del Ruanda, mi hanno dato moltissime informazioni sul tema dello “svuotamento di terre e culture” (Cit. Il Volto Comune ndr) persone con cui ho stabilito negli anni amicizia tramite il volontariato. Oggi ci frequentiamo e divertiamo alla grande!

 

Musica, società e politica. Quanto credete questi tre elementi debbano e possano essere tra di loro correlati?

 Secondo me devono essere correlati, più che altro la musica con la società. Sono legate inevitabilmente, noi cantanti o rimaniamo criptici o entriamo in mondi fantastici, surreali, oppure la realtà la dobbiamo affrontare. Poi che venga affrontata in maniera realistica, satirica o grottesca non conta, comunque dobbiamo affrontarla. Dobbiamo introdurci anche nel campo politico, cosa che a me piace molto. Ci sono molti cantanti che hanno paura di parlare, a differenza degli anni 90 dove vi erano artisti con il coraggio di affrontare determinate tematiche. In questi anni dove viviamo una crisi epocale, fortissima, ne ho sentiti veramente pochi e faccio fatica a capirne il perché. La musica sembra vivere un forte imborghesimento, mancano figure come Zulu, Piero Pelù, De Andrè e chi più ne ha più ne metta. Credo questo sia frutto anche del fatto che la gente nutre disinteresse nei confronti della realtà che la circonda o al contrario, i’abuso dei social li hanno talmente anestetizzati che i loro temi si sono fermati, calati nell’ovvio e ridondante.

Entrambi, da anni, sgomitate ormai nella scena musicale Italiana. Cosa ne pensate della scena Underground attuale e della sua evoluzione (o involuzione) con il passare del tempo?

 Alessandro – La scena underground attuale, rimanendo nel rock, fa molta fatica, ma continua a lottare. D’altronde non è un problema nostro anche di chi organizza eventi, contest.. Con il Rock nella mia città (Roma) a differenza degli anni precedenti è meno semplice suonare. Quanto si potrebbe fare….Ci sono municipi grandi come città abbandonati a sé stessi. La musica porta sempre allegria o riflessione. Forse dall’alto si vuole allargare la disparità, la forbice tra il benestante e il ragazzo di estrema periferia. Ci vogliono mantenere tetri… Sono nato e cresciuto nei palazzoni, tra il cemento e la speculazione edilizia dei costruttori., rimarrò qui e non mi fermerò mai! Mi piace organizzare, non stare fermo: spesso mi sono rivolto a chi amministrava il mio municipio ma le risposte sono state sempre “Vedremo!” Nel frattempo sono passati mesi ed anni. Le periferie sono abbandonate, tristi, grigie. La cultura rappresenterebbe l’ ab c dell’aggregazione sociale. Magari oggi ci vorrebbe più tempo rispetto a ieri ma non bisogna mai darsi per vinti…

Tornando alla tua domanda (quando si parla di sociale mi perdo)a me piacciono diversi gruppi che possiamo definire per “etichetta” underground ma sono tecnicamente e poeticamente molto più cazzuti di ascolti in radio.. Mi soffermo sui Metharia di Napoli, un gruppo sanguigno che offre un rock molto potente. Il cantante, Raul, è una persona diretta, sincera, trasparente. Negli ascolti personali è stato un punto di riferimento da mettere alla pari con i primi Timoria. Poi mi piace molto la musica popolare li dove si contamina anche musicalmente con il rock, esempio La rappresentante di lista. La scena underground è diversa da quella che ho vissuto negli anni 90 più diretta. Vi ricordate il movimento Posse? Ecco… Oggi molto si è perso. Si fa fatica a suonare, dobbiamo spesso pensare di uscire da questa città pensare di andare a suonare all’estero. Secondo me l’underground o rimane di nicchia o fa molta fatica e pensare che debba rimanere sempre di nicchia mi da particolarmente fastidio perché in esso vi è tanta passione, il sudore, le spese, vi è tanta roba e mi piacerebbe riuscisse ad avere una certa continuità.

 

Lorenzo Natali

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