Un piede dentro, un piede fuori, un piede di lato e un altro per non cadere: sono almeno quattro piedi quelli che servirebbero ad un produttore artistico, purtroppo ne ha solo due, di solito.
Il produttore artistico, ha il ruolo di accompagnare e gestire l’artista nel viaggio di creazione che va dall’idea al prodotto finito, cercando di veicolare e dare forma alle sue sensazioni, in un prodotto che pur non snaturandosi, sia in linea con le tendenze di mercato, ovviamente cercando di ottenere il miglior risultato possibile, pur rispettando i limiti del budget messo a disposizione dalla label. Brian Eno, storico produttore degli U2 – tra gli altri – definisce così questa figura cardine «il produttore è qualcuno che media tra il musicista, che è un non-tecnico, e il fonico, che è un non-artistico». Una volta giunti ad un’idea già ben definita nei testi e nelle metriche, ecco che entra in gioco il ruolo del fonico, che ha l’arduo compito di dover trasporre queste percezioni in vere e proprie sonorità, pulite, fruibili e che “suonino” bene all’orecchio dei futuri ascoltatori.
Mauro Pagani (ex PFM, autore solista e produttore di fama, che ha lavorato con Fabrizio De André al capolavoro “Creuza De Mä” e fondatore delle Officine Meccaniche, storico studio di registrazione milanese) paragona il ruolo del produttore a quello del regista cinematografico: «Il produttore artistico è l’equivalente del regista di un film, il cantante è l’attore e il fonico è il direttore della fotografia. Un disco risente di tutte le variazioni contenutistiche ed estetiche di cui risente un film». Un work in progress in altre parole, ma non privo di una forte idea di fondo: «Prima di registrare – prosegue Pagani – è fondamentale porsi quattro domande: cosa dico, a chi lo dico, dove lo dico e come lo dico. La somma delle risposte determina il 90% delle scelte di arrangiamento».
Il nostro viaggio nella creazione del prodotto discografico approda oggi nel cuore pulsante dell’arte musicale, veniamo accolti dal maestro Luigi Scialdone, produttore artistico di Tommaso Primo – che abbiamo conosciuto nella precedente puntata – ed il coproduttore e fonico Daniele Chessa i quali ci spiegheranno come stanno traducendo in musica i pensieri dell’artista rendendoli appetibili al grande pubblico.
Ciao Luigi, ciao Daniele, benvenuti in questa nuova avventura di Inside Music e FullHeads. Oggi il nostro viaggio si sofferma sulla figura del produttore artistico e del fonico (dopo aver conosciuto l’artista). Partiamo dal produttore, è lui a riconoscere delle potenzialità in un artista sconosciuto (o già noto) e chiedere la collaborazione oppure – guardando alla storia del produttore e ai suoi prodotti creati in passato – è l’artista a scegliere da chi farsi guidare? E in questo caso come è avvenuto questo sodalizio?
Luigi Scialdone: Entrambe le strade sono valide, possono accadere entrambe le situazioni. Nel caso di Tommaso nella fattispecie è stata la naturale evoluzione di un rapporto umano che ci lega. Io e Tommaso ci conosciamo da molto tempo, sin dall’epoca del suo primo disco, da rapporto di amicizia è nato pian piano anche un discorso di stima professionale e quindi consequentemente anche di affinità artistica. Tommaso lavorando ai provini di questo secondo disco ha così immaginato che la persona più adatta fossi io. Nonostante io formalmente non sia stato il produttore del disco precedente, ho comunque partecipato alla sua realizzazione in terza persona, Tommaso faceva comunque riferimento a me nell’ascolto dei brani e nella loro migliore esecuzione. La nostra è una stima assolutamente reciproca, anche io lo stimo molto, lo reputo un artista molto libero, esente da qualsiasi clichè e schema, lui riesce a raccontare molto con le parole e con la musica quello che ha in testa, io speravo che mi chiamasse per questo disco e così è stato. Il lavoro del produttore artistico è molto diverso da ogni altro lavoro, si fonda sulle sensazioni.
Per definizione: il produttore artistico deve essere una persona di cui l’artista si fidi, che sia in linea con i suoi gusti musicali, e che per quanto ci possa mettere mano non vada mai a snaturare la sua composizione. La vicinanza culturale avvicina produttore e artista e permette di fare un lavoro migliore?
L. S.: Innanzitutto aggiungerei che il produttore è innanzitutto quella figura che deve riconoscere nell’artista delle potenzialità ed un valore ma soprattutto deve mettere in luce quegli aspetti dell’artista che esso stesso non riesce a vedere di sè. E’ una figura un po’ in bilico perchè deve essere dentro il progetto ma contemporaneamente deve esserne al di fuori, non deve innamorarsi totalmente di quello che fa altrimenti viene meno l’essenza del tuo lavoro. Deve riuscire a stare con un piede dentro le emozioni e con un piede nella testa. E’ un ruolo molto difficile perchè se il tuo lavoro ti appassiona tendi umanamente a tuffartici, invece questo freno è necessario per essere sempre super partes. Veniamo al discorso affinità culturale, sicuramente questa è una componente che può aiutare, ci può non essere per esempio affinità musicale fra produttore ed artista ma non deve mancare l’affinità umana.
Il lavoro del produttore artistico di arrangiamento e preparazione dei brani avviene già prima di entrare in sala di registrazione. Come ci si orienta in questa fase verso le scelte migliori? Di cosa essenzialmente bisogna tenere conto per arrivare al meglio in sala di registrazione?
L.S.: La prima cosa che bisogna fare è decostruire il materiale che si ha, decostruire ed analizzare il testo, è esso a suggerirmi la sonorità. A questo punto entra in gioco il ruolo fondamentale del fonico. Io ho scelto Daniele (ndr: Chessa) perchè è capace con uno schiocco di dita di capire quello che ho in testa, al di la della stima personale ed artistica, siamo anche affini musicalmente e riusciamo così ad essere molto empatici guadagnandone anche in tempi di realizzazione di un progetto. Il fonico riesce a trovare in studio quella sonorità richiamata dal testo che più si avvicina a quella che il produttore artistico ha in mente. Anche questo è un percorso che può essere molto breve perchè la sonorità ti soddisfa subito o ci si può perdere anche un intero giorno a ricercare un singolo suono. Non c’è una sonorità standard è una ricerca che può durare tantissimo o pochissimo: testo – metriche – pensiero sonoro – suono in studio.
Quando si fa una produzione discografica bisogna pensare che tutto il suonato deve stare bene in qualsiasi impianto audio: nelle casse piccoline che hai al pc, nelle casse di casa, negli Ipod, così come negli impianti sterio di ultima generazione e nei passaggi radio, così come deve essere adattabile alla dimensione live. Che studio avviene affinchè tutti gli equilibri siano in sinergia fra loro?
Daniele Chessa: Un prodotto fatto bene suona bene dappertutto. Ci sono ad oggi delle apposite procedure che cercano di migliorare il prodotto per un canale piuttosto che per un altro, però tendenzialmente una cosa fatta bene suona bene dappertutto discograficamente. Per quanto riguarda il discorso del live, sul palco si possono trovare degli escamotage quali le cosiddette sequenze che ormai usano tutti, oggi. Ovviamente quando produci un disco devi stare attento a non strafare, a non esagerare, tenendo sempre conto della dimensione live dell’artista. Fin quando metti due sequenze di synth ci può stare, ma se un pezzo lo strutturi tutto con orchestra da camera, un coro eschimese di ottanta elementi e lo metti in sequenza, dal vivo diventa una schifezza. Si fa un discorso produttivo che cerca di non rendere imbarazzante la proposta live di un disco.
L.S.: Talvolta è anche interessante riuscire a capire come trasporre live un disco complesso, come l’essenza di una canzone sventrata di elementi di contorno risuoni. Il disco di Tommaso che stiamo producendo è molto particolare perché sfrutta sonorità nuove e che dal vivo avrà bisogno di alcuni supporti tecnologici ma è comunque assolutamente riproducibile, ci sarà comunque tanto suonato.
C’è una differenza fra sala prove e sala di incisione? Quando in fase di registrazione devi stravolgere un sound e ripartire da zero, considerate le spese ed il budget fisso a disposizione, cosa succede?
L.S.: Questo che noi stiamo facendo ha un approccio molto diverso rispetto a quello classico delle band che prevede tutto un discorso di sala prove, lavora mesi e mesi, prova gli arrangiamenti mesi e mesi e una volta trovata la quadra giusta si va in studio di registrazione. Quando l’artista è singolo invece, si entra di più nell’approccio di produzione moderna dove c’è una costruzione di tutti gli elementi direttamente in studio, dove avviene il confronto con l’artista ed eventualmente con i suoi musicisti; si lavora in un ambiente molto più piccolo, con meno persone, in un clima quasi più intimo rispetto ad un lavoro corale. I casi però sono molti, non si possono riassumere semplicisticamente in “band” e “cantante singolo”. Poniamo il caso del singolo cantante che però ha una sua band di musicisti ed impone al suo produttore che debbano essere proprio loro a suonare il suo disco, a questo punto il produttore fa un lavoro di studio con tutta la band, fa le prove con la band e aggiusta le sonorità di ogni componente musicale.
Un artista, per sbocciare, ha bisogno di un tempo tecnico. Che è il tempo, se vogliamo, di qualche disco. Ora, qualche disco può significare qualche mese, ma anche qualche anno. Durante questo percorso l’artista non dovrebbe essere lasciato solo, il produttore dovrebbe accompagnarlo sin dal processo di scrittura. In un ginepraio come quello attuale della nostra discografia che ha tempi molto più “smart” rispetto al passato e non lascia spazio al talento di maturare ma a stento di emergere ed esplodere istantaneamente, come è evoluto il ruolo del produttore artistico?
L.S: Io credo che sia cambiato molto poco, possono cambiare delle tempistiche di realizzazione del suo lavoro dovute alle diverse richieste della discografia. La capacità che – ad oggi – un buon produttore artistico deve avere è quella di far evolvere velocemente il concetto in prodotto finale. E’ solo una questione di tempo non di tipologia di lavoro, il vero cambiamento.
D.C.: In origine era così come lo hai descritto tu, il produttore artistico doveva accompagnare l’artista sin dal processo di scrittura, adesso quello che accade nella realtà è che egli mette un imprinting un po’ diverso, prima il produttore si occupava un po’ di tutto quello che accadeva ad un artista, gli produceva tutti i dischi, lo accompagnava in giro, magari cacciava anche del denaro, adesso non è proprio più così, adesso c’è un ruolo un po’ più legato alle sonorità. Il produttore attuale viene scelto in base al sound che si vuole dare al prodotto artistico, capita sempre più spesso che un artista scelga un produttore diverso per ogni suo disco, quindi non c’è più quel legame che si creava un tempo. Un altro cambiamento sostanzialmente sta nel compartimento in cui sta finendo la musica: nell’enterteinment, e quindi fa quello che l’etichetta stessa gli impone di fare: intrattenimento. Così un prodotto discografico con tutte le variabili connesse come ad esempio il live, può essere ridotto al solo show. Nel marasma generale si stima che ogni secondo escano fior fior di CD. Nel passato c’era l’attesa del nuovo lavoro del tuo artista preferito, ti dovevi informare da solo attraverso le riviste, il passaparola, non era possibile l’ascolto in anteprima e quindi arrivavi all’acquisto di quell’oggetto fisico pieno di aspettative, siamo arrivati adesso all’epoca dei singoli e delle playlist in cui i ragazzi conoscono di un intero CD un solo pezzo.
L.S.: Con il progetto di Tommaso stiamo cercando di fare esattamente l’opposto e cioè creare un disco in cui si narri una storia attraverso delle canzoni, che sicuramente funzionano anche singolarmente, ma per capirne il significato più profondo servirebbe ascoltarlo fino in fondo.
Parliamo del tuo lavoro con Tommaso, siamo in fase di registrazione, quindi prima c’è stata la scrittura, la scelta dei sound e la realizzazione dei provini. Come lo avete aiutato a “sbocciare” nella sua creatività per questo secondo album?
D.C.: Attualmente siamo in fase di produzione e stiamo lavorando con questo protocollo: siamo due produttori chiusi in uno studio – che in questo caso è situato in una casa – noi due ci vediamo tutti i giorni e di tanto in tanto viene anche l’artista a condividere e dire la sua sulle nostre scelte.
L.S.: Tutto nasce dall’incontro con l’artista. Io e Tommaso abbiamo lavorato parecchio su questo disco, io mi sono fatto raccontare le sue suggestioni su ogni singolo brano, ho cercato di cogliere gli aspetti importanti che lui volesse far passare di ogni traccia, ho ascoltato i provini molto scarni, chitarra e voce, e ho scelto Daniele come coproduttore una volta che avevo già un background di informazioni apprese dal contatto con l’artista. Nella fase iniziale di preproduzione ho preferito lavorare con Daniele da solo, senza Tommaso, perchè volevo anche cercare di capire quanto avessi visto giusto in quello che l’artista mi aveva raccontato. Noi lavoriamo diversi giorni su un brano, arriviamo ad una nostra visione su quello che lui ci ha detto, solo a questo punto ci raggiunge Tommaso e fino ad adesso ci siamo sempre trovati d’accordo tutti e tre sull’esecuzione e la resa musicale. E’ un lavoro molto di ricerca, nasce dalla sperimentazione. Mi piace sempre fare l’esempio dei giocattoli, butti tutti i giocattoli per terra e solo sperimentando riesci a capire con quale riesci a giocare meglio.
Adesso passiamo al ruolo altrettanto indispensabile del fonico o ingegnere del suono. Daniele ci spieghi la differenza sostanziale tra il fonico di studio e il fonico di sala (che coordina i live)? Come cambia il tuo lavoro anche sullo stesso artista?
D.C.: Ognuno di noi come persona ha delle attitudini, c’è chi riesce più o meno bene a barcamenarsi più o meno bene in entrambi i ruoli portando a casa dei risultati, questo perchè tendenzialmente il processamento del suono è lo stesso (il suono passa attraverso dei trasduttori, diventa elettricità, compare su una consolle e su di essa viene modificato e rimandato negli altoparlanti). Quello che cambia tra il live e lo studio è che fuori ci sono delle variabili come il pubblico, le condizioni metereologiche che possono inficiare determinate frequenze, mentre lo studio è un ambiente statico. In conclusione, sono due ruoli distinti e separati di due persone che però fanno la stessa cosa.
Si parla tanto della differenza fra le registrazioni del passato in presa diretta e le registrazioni attuali a tracce singole. Innanzitutto ti chiederei di spiegare a noi profani del suono le differenze sia elaborative che nel risultato finale.
D.C.: In passato, ad esempio trent’anni fa, si utilizzava una macchina analogica chiamata “registratore a nastro” ed aveva delle limitazioni. Innanzitutto era sensibile agli sbalzi di corrente e tutte le tarature che si facevano sulle singole testine erano molto labili ed avevano delle durate lunghe. Erano macchine perfette dal punto di vista meccanico ma molto sensibili a determinate variazioni. Un altro limite concerneva proprio il nastro che – essendo un elemento fisico – creava un attrito con le pareti della bobbina e tendeva a consumarsi, più volte fai girare il nastro più lo si consuma. Ovviamente partendo dall’assunto che nella tecnica legata alla musica niente è dogma, c’era anche chi pensava che dovesse consumare l’intero nastro per ricercare il suono perfetto così come chi starava la macchina per la stessa ricerca, è tutta sperimentazione e l’imperfetto è la strada. Ma il problema restava reale se il nastro si rompeva il lavoro di registrazione andava perduto, così si tendeva a suonare tutti insieme. Cosa comportava questo? Che veniva fuori davvero la bravura dei musicisti, nello studio di registrazione ci arrivava davvero chi sapeva suonare. Attualmente invece anche il musicista non bravissimo, attraverso la cura del suono e la sua personalità riesce a dire la sua anche rispetto ad uno bravo davvero.
Qual è la differenza nel risultato finale fra un disco suonato in presa diretta o a singola traccia èche i dischi di una volta avevano un’anima, erano più vivi, più veri, si sentivano di più le vibrazioni del singolo musicista. Quest’anima era poi amplificata dalla diafonia, quel fenomeno analogico in cui la traccia due a conclusione risuona anche nella traccia tre, la tre nella quattro e così via. I dischi di oggi sono meglio organizzati ma penalizzando il sentimento, penalizzando a volte anche la scrittura, un po’ più rigidi. Ci si impelaga spesso in sovraincisioni che debbano rispettare dei dogmi della discografia del momento, e il risultato che vengano cestinati miriadi di basi.
Che strada di registrazione si è scelta per questo album, tracce separate o presa diretta e perchè?
D.C.: Assolutamente a tracce separate perchè è un disco di produzione in cui Luigi soprattutto ma anche io, suoniamo tutti gli strumenti che servono in questo disco. Non è una scelta di budget, è una scelta che avremmo fatto anche con risorse economiche illimitate, perchè è una condizione più intima, abbiamo tutte le nostre cose nello studio, abbiamo un divano, abbiamo una cucina dove poter fare delle pause.
Qual è il punto di forza di Tommaso durante le sue performance e cosa usate per esaltarlo ulteriormente? Ed un difetto su cui state lavorando e prevedi di perfezionare rispetto al suo primo lavoro “Fate, Sirene e Samurai”?
L.S.: Tommaso rispetto al primo disco ha accumulato tante esperienze live ed è riuscito a colmare un gap che come artista giovane poteva penalizzarlo un po’ perchè non era maturo sul palco. Quello che lui deve fare è riuscire a trasportare questa energia che ha sul palco anche nelle performance in studio. Quando si parla di artisti e musicisti non mi piace parlare di difetti, li definisco più diversità. Il disco precedente lo rappresentava totalmente per come era all’epoca della sua composizione, adesso è passato qualche anno e Tommaso è maturato come persona, ha capito nuove cose e della sua evoluzione ne stiamo facendo un disco.
D.C. Tanti artisti dei loro difetti hanno fatto il marchio di fabbrica.
A cura di Fabiana Criscuolo
