I Villani OST – Marco Messina, Sacha Ricci [Recensione]

di InsideMusic

“La terra ha bisogno dell’uomo”. Con queste parole inizia I Villani, il documentario diretto da Daniele De Michele e presentato alle Giornate degli Autori della 75^ Mostra del Cinema di Venezia. Un documentario che indaga uno degli argomenti più abusati nel nostro paese: la cucina. Si, perché ormai tutto intorno a noi è un continuo proliferare di chef e programmi culinari che però non fanno altro che buttare fumo negli occhi allontanandoci dalle vere ricchezze legata al cibo, la tradizione e la cultura. Ed è proprio questo il campo d’azione del documentario ma soprattutto della colonna sonora firmata da Marco Messina e Sacha Ricci già componenti dei 99 Posse che però in questo ambito si cimentano con la sonorizzazione di immagini e storie provenienti dai quattro angoli del nostro paese. 

Back to the roots, sembra essere questo il mantra che attraversa le storie de I Villani, termine che parte con un significato dispregiativo nell’uso corrente ma che simboleggia in pieno lo spirito del viaggio fatto di immagini, musica e sapori rappresentato dal documentario. Il percorso a ritroso dal presente alla tradizione attraverso un ritorno alla natura, legge universale che ha sempre governato le nostre vite e che oggi più che mai ritorna prorompente anche nell’agenda politica.

Il lavoro musicale operato in questo progetto è quello di recuperare i suoi e le parole della tradizione, prendendo canzoni popolari, testi derivanti dalla tradizione folk e vecchi stornelli da fondere con una produzione che spazia dalle chitarre blues all’elettronica passando per il dub. Sette tracce che mettono insieme oltre i già citati Sacha Ricci e Marco Messina altri artisti come Mannarino (Blues per il benessere delle vacche),  Daniele Sepe (Militanza) oltre ad Ernesto Nobili, Davide Della Monica, Marco Bardoscia, Massimiliano Sacchi e Salvatore Fundarò.

Il concetto alla base del documentario è assimilabile anche all’universo musicale, ed è stata questa la via maestra che hanno seguito i due compositori per assemblare un album che servisse allo scopo di dare forza a una filosofia tanto forte quanto semplice: ritorno alle radici, perché le radici sono parte fondamentale della nostra identità, rinnegare quello che siamo e da dove veniamo non produrrà altro che effetti distorti, nella musica come in cucina. Le radici non sono mai un limite quando sono vissute nella loro importanza, è stato così per il mondo culinario italiano come anche per quello musicale.  

Daniele de Michele restituisce la parola ai Villani, coloro che si sporcano le mani e che cercano un rapporto con la terra senza intermediazioni, coloro che rifiutano un modello che funge da grande pialla sulle diversità locali, culturali e che rischia di fagocitare anche l’universo intero delle particolarità gastronomiche italiane. L’industrializzazione, come sintomo della globalizzazione porta un’accelerazione dei ritmi delle nostre vite che si può rintracciare anche nei diversi generi musicali che si affermano nelle classifiche. La musica che accompagna il documentario invece dimostra come si possa mescolare alla perfezione la tradizione con la modernità senza distorcere i sapori, esaltando anzi gli elementi primari che hanno caratterizzato la nostra cultura a tutto tondo. La ricerca del linguaggio, le immagini evocate nelle canzoni dei nostri avi, le sensazioni che trasudano da ogni ritornello o racconto ci restituiscono immagini potentissime di un paese che non può essere cancellato in nome dell’asservimento a ritmi di vita che spersonalizzano gli individui e che mettono al bando le diversità. Parlare bene equivale a pensare bene, lo stesso vale per il cibo. Mangiare bene significa vivere bene. Se c’è un modo di dare valore a qualcosa in questi anni è proprio dedicargli tempo, quel tempo che si dilata guardando due donne che impastano uova e farina, che stendono la pasta con una maestria quasi persa nel tempo, mentre il sax di Daniele Sepe ci fa volare in luoghi della memoria che in fondo non vorremmo mai far sparire. Un canto antico, come quello di pasta dub, sembra risalire dalle nostre viscere, passando per lo stomaco fino al cuore. È tutto collegato in un progetto come quello de I Villani, che poi è come dire che si possono separare la musica dalle parole, il cibo dagli ingredienti, la terra dagli uomini. Ma non è così perché la terra ha bisogno dell’uomo, e viceversa.

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