Hunter Stockton Thompson è probabilmente uno degli scrittori
americani più celebri degli anni ’60 e ’70. La sua attività giornalistica per Rolling
Stones ha segnato a suo modo un’epoca e alcuni suoi pungenti reportage
sul Watergate e sul Kentucky Derby sono diventati delle
pietre miliari del giornalismo alternativo. Anche sotto l’aspetto letterario è
stato paragonato ai più grandi di sempre e alcuni suoi libri come Hell’s
Angels e The Rum Diaries sono diventati dei best seller.
Tuttavia l’opera che forse lo ha reso più celebre, consacrandolo nel Gotha
della letteratura made in USA, è senz’altro Paura e disgusto a Las Vegas
(“Fear and loathing in Las Vegas”).
Il libro è presto diventato un cult e l’emblema del cosìddetto Gonzo
Journalism (il genere giornalistico inventato da Thompson, nel quale lo
stesso reporter diventa parte della storia) vendendo milioni di copie negli USA
e aiutando l’ascesa giornalistica di Rolling Stone (la storia prima di
diventare un libro venne pubblicata a puntate sulla rivista).
La trama del racconto è basata sul rocambolesco viaggio a Las Vegas di Raoul Duke (alter ego letterario di Thompson) e del suo avvocato samoano, il Dr Gonzo (alter ego letterario dell’avvocato e attivista Chicano, Oscar Zeta Acosta) con l’obbiettivo d’infrangere tutte le leggi possibili e di inseguire il sogno americano.

CC BY-SA 3.0
Lo stile dissacrante e psichedelico dell’opera, accompagnata dai visionari e
onirici disegni di Ralph
Steadman, rendono l’opera uno dei capolavori più rappresentativi
della letteratura americana di tutti i tempi. Tuttavia, come spesso accade, la
fama del libro è stata superata dalla sua resa cinematografica.
Paura e delirio a Las Vegas di Terry Gilliam del
1998, interpretato da Johnny Depp e Benicio del Toro, è stato infatti un
successo al botteghino ed è diventato una pellicola cult. Uno dei meriti del
film è senz’altro quello di aver aperto una finestra sui gusti musicali di uno
scrittore enigmatico, a volte folle e dispersivo ma che forse come pochi ha
saputo evidenziare i contrasti della società del suo tempo. Se è vero che la
location del suo più celebre libro ha
inspirato molte canzoni legate al mondo del gioco e del casinò, è
altresì importante sottolineare come ascoltando la playlist di Hunter S.
Thompson sia possibile intraprendere un viaggio musicalmente surrealista negli
USA a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, riuscendo così a cogliere l’anima di uno
scrittore borderline diviso tra l’amore del suo Paese e l’odio per il suo
establishment.
Nella colonna sonora del film sono infatti presenti alcuni brani che sono stati
cavalli di battaglia dei movimenti studenteschi e dei diritti civili
interrazziali come White Rabbit dei Jefferson Airplane,
brano hippie ispirato agli psichedelici viaggi di Alice nel Paese delle
Meraviglie di Lewis Carroll. Una parabola musicale
ascetica chiusa da un finale leggendario che come poche canzoni ha saputo
rappresentare l’onda emotiva di quegli anni di protesta, scemata o meglio
abilmente contenuta e dispersa, al suo apice.

CC BY 2.0
Altro pezzo emblematico del Flower Power, particolarmente amato da Thompson, è senz’altro Mama Told me (not to come) dei Three dog night. Un trip musicale su di una serata ai limiti del proibito vissuta da un ragazzo nella sua prima notte a Las Vegas che rimpiange, come si evince dal titolo, di non aver ascoltato i consigli di sua madre.
Un’altra canzone citata in Paura e disgusto a Las Vegas e ripresa nel film ispirato al libro è One Toke over the line di Brewer & Shirpley.
A illuminarci sui gusti musicali dello scrittore è soprattutto una lettera inviata nel 1970 all’editore di Rolling Stones John Lombardo, nella quale Thompson esalta la poetica musicale di Bob Dylan e della musica prodotta in quel periodo:“Mi dispiace che la musica non sia il mio forte, perché negli ultimi anni ho discusso molto sul fatto che la musica sia la nuova letteratura, che Dylan sia la risposta degli anni ’60 a Hemingway e che la testimonianza più importante degli anni ’70 verrà dai dischi e dalle registrazioni video invece che dai libri”. Nella stessa lettera, pubblicata nella collezione della corrispondenza di Thompson intitolata Fear and Loathing in America, lo scrittore allega alcuni degli album a suo avviso più rappresentativi della “rock age”.
Nella lista figurano Memphis Underground di Herbie Mann del 1969 (che fu anche la campagna sonora della sua corsa al consiglio municipale di Aspen), Bringing It All Back Home e Highway 61 Revisited di Bob Dylan del 1965 (nella lettera viene particolarmente elogiato il brano Mr. Tambourine Man), Workingman’s Dead dei The Grateful Dead del 1970, Let it bleed dei Rolling Stones del 1969, Buffalo Springfield dell’omonimo gruppo del 1967, Surrealistic Pillow dei Jefferson Airplane del 1967, vari album di Roland Kirk, Sketches of Spain di Miles Davis del 1959 e Inventions di Sandy Bull del 1965.

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