Home Interviste ESTATE-MALINCONIA: GALEFFI È UN’ARTISTA DI “NON DETTI”

ESTATE-MALINCONIA: GALEFFI È UN’ARTISTA DI “NON DETTI”

by Paola Pagni

Ci siamo incontrati con Galeffi da Spaghetti Unplugged, per la terza serata. Faceva caldo, ho scoperto che la frenesia a Roma sta pure nell’estate che non aspetta ad arrivare.

Lui è probabile che non avesse così caldo, indossava un impermeabile giallo, di quelli con tre ganci, un cappellino da baseball e un paio di occhiali con una montatura sottile e dorata, da intellettuale.

Ci siamo seduti al tavolino, le luci erano poche e le uniche arrivavano da lontano, alla destra della balconata. La musica alta ci ha fatto ripetere, più di una volta, le stesse cose perché io facevo domande a voce bassa e lui non leggeva bene il mio labiale, o io, più di lui, avevo bisogno di segnare tutto per bene; non volevo perdermi niente.

«Bello che scrivi a penna» mi ha detto. Timido e introverso, ho avuto paura che le domande fossero troppo personali o di valicare spazi a cui non avrei avuto accesso, se ci fossimo incontrati in un altro contesto. «Faccio un brutto lavoro» devo aver pensato davanti a lui, «Penserà che voglio farmi i fatti suoi».

Di fatto è quello che è successo. Ha incrociato le mani e le ha appoggiate sul tavolino, in preghiera. Ho capito che era pronto.

-Galeffi è il cognome di tua madre. Una lotta al patriarcato o suonava bene?

Nessuna delle due. Avevo bisogno di un nome e la verità è che sono un mammone. Va bene, come risposta?

Ho sorriso e ha sorriso anche lui, senza muoversi di niente.

In appassire dici a un certo punto: Non ho voglia di niente, niente che si può dire. Sei fan dei non detti?

Sì, abbastanza. Le cose implicite mi piacciono più di quelle esplicite, sono più affascinanti. Tutto ciò che è troppo evidente, tutto ciò che è troppo chiaro è volgare e quello che è volgare lo capiscono tutti.

Galeffi è attivo politicamente?

Il giusto.

Ma dalla parte giusta?

Dall’unica parte possibile che è quella dell’intelligenza, del rispetto e della sensibilità.

Sei più un animo nostalgico o malinconico?

Devo pensarci e mi ha fatto dammi tempo con la mano.

Non ho fretta.

Forse più malinconico che nostalgico, ma di poco. 51% di malinconia e 49% di nostalgia.

In Camilla c’è una critica ironica allo stereotipo della ragazza radical-chic. In fondo, ti piace un po’?

Sì, avoja. La ragazza si chiamava Clelia.

Scrivo?

Scrivi se vuoi. È passato un sacco di tempo.

Ok.

Aveva tutto quello che mi piace, ma mi annoiava. Più che una critica allo stereotipo radical-chic, è una critica alla noia.

Nel 2017 è uscito il tuo primo album: Scudetto. Si può dire che l’hai vinto?

Sì, da quell’album in poi è cambiato il mio modo di vivere la musica. È diventato il mio lavoro. Prima facevo il giornalista, mi sono licenziato. Ho firmato contratti e ho iniziato a lavorare a nuovi progetti.

E il Settebello (2020) nella vita ce l’hai tu in mano o lo prendono gli altri?

Galeffi ha sorriso. Si è preso qualche minuto per rispondere.

Per indole sono una persona che ha un buon occhio per costruire qualcosa. Nell’amicizia, nell’ amore e con le idee. Credo di avere il settebello in mano, ma anche di essere abbastanza capace di capire a chi darlo. Non sono uno avido, non mi piace tenermi le cose per me.

L’amore nella tua narrazione sembra un oggetto in una teca. Si raggiunge e non si raggiunge e sembra fatto di ombre, luci e ombre.

Non ho ancora capito come funzioni l’amore, come tutti quelli che ne parlano e ne scrivono, forse. Io mi rifaccio a quello che vivo, attingo dalle mie esperienze sentimentali. Ho scritto della fine dell’amore, ho scritto anche dell’amore in mezzo alle cose.

Belvedere uscirà venerdì 20 maggio. Come ti senti?

Il rapporto con l’uscita della mia musica è molto complicato, anche perché la musica che scrivi generalmente esce dopo un anno, o più di un anno. Comunque definisce la fine di un’era.

Gli scrittori che conosco dicono che quando mettono il punto all’ultimo periodo consegnano il libro e se ne liberano. Non lo rileggono mai più.

Per me è lo stesso. Quando il brano è fuori, non lo ascolto più. O meglio, lo faccio solo per ripassare i testi, quando non me li ricordo. Sorride.

La tristezza ti è utile? Ti piace? Ti lasci appassire?

Mi è molto utile. Sono fan del dolore, del dolore nell’accezione romantica. Credo, dopotutto, che faccia bene farsi male, inconsapevolmente, è chiaro, ma fa bene. Io sono sempre triste, ma perché penso troppo.

Ho sentito Galeffi e l’ho visto esibirsi sul palco, dopo aver chiacchierato. Camminava e si muoveva come se lo facesse in casa sua, me lo sono immaginato così ad andare verso i fornelli a fare il caffè. Ha chiesto a tutti di sedersi a terra, insieme a lui, per cantare. Ha fatto otto pezzi invece che cinque. Credo si sia divertito. Sicuramente si è divertito chi è stato ad ascoltarlo. Si è messo al piano e ha finito col cielo in una stanza. L’alcazar è diventata una bella stanza, senza pareti né alberi.

di Giulia Della Cioppa

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