L’ex frontman dei Ritmo Tribale torna con il suo quinto album da solista. Nuovi sound e un filo di leggerezza nei contenuti: “Lamentarsi non serve”
Una valanga di contrasti coerenti. Questo è il gusto che lascia l’ascolto dell’ultimo lavoro di EDDA, al secolo Stefano Rampoldi: spirituale e blasfemo, concreto e surreale, suggestivo e razionale, profondo e lucido, provocatorio e puro. Il cantante torna dopo tre anni da Stavolta come mi ammazzerai con Graziosa utopia, uscito lo scorso 24 febbraio per Woodworm Label. “Graziosa utopia forse è la voglia di cambiare se stessi per la quale serve grazia, ma è molto difficile”, ci ha dichiarato in un locale romano, durante una chiacchierata vera e piacevole come quelle tra amici davanti ad una birra. Un giullare del sentimento, ironico e profondo, che canta l’amore, il tradimento, la delusione con uno sguardo disincantato, imbevuto in una sensibilità lucida che coglie il centro senza troppe smancerie. Un disco più ottimista e meno rock, il cambiamento c’è ed è apprezzabile, sia dal punto di vista contenutistico che di sound. I metalli e le corde dei precedenti lavori lasciano il posto ai fiati dei tromboni e all’armonia dei violini ma allo stesso tempo non mancano i colpi della batteria e le incursioni dei sintetizzatori. Echi italiani degli anni Settanta/Ottanta e innesti pop rock internazionali. Un disco da assaporare con le papille gustative dell’anima, per cogliere fragranze e sentori spesso velati dall’ironia, dissimulati dall’umorismo. Non c’è una title track, ma il primo pezzo ha la mira di un cecchino, l’effetto è quello di essere spinti nel vuoto da un palazzo di 10 piani, uno per ogni pezzo. Spaziale è una ballata di quelle che ammaliano attraverso una malinconia che uccide e attrae allo stesso tempo, muovendo quelle corde che non vorremmo neanche sfiorare ma che poi lasciamo vibrare in una danza disinibita dei sentimenti, facendoci straziare dai ricordi che ci suggeriscono senza tuttavia riuscire a fermarci. Il salto prosegue con il sound elettronico di Signora, ad esempio, o l’apparente leggerezza di Zigulì. Poi si passa di nuovo sulla traiettoria della prima traccia con Un pensiero d’amore, una lettera scritta con l’inchiostro dell’ironia amara, linguaggio paradossale e ambiguo in un lamento di dolore disinfettato dal tepore del riscatto, quello che ci fa scoprire una forza che non sapevamo di avere e che la fine di un amore spesso ci rivela. Si continua a volare attraverso gli altri brani ma, la cosa sorprendente, è che alla fine lo schianto non arriva, al contrario c’è una levitazione, un senso di arricchimento e, se da un lato il cambiamento è un’utopia, dall’altro c’è la grazia, una sorta di indulgenza con noi stessi che spinge a dire “nonostante tutto, provo ad essere felice”.
Da Stavolta come mi ammazzerai a Graziosa utopia. Un bel salto tra questi due titoli! C’è molta più leggerezza. Cosa è cambiato in questi tre anni e quali sono le differenze tra i due lavori?
Questo lavoro è molto diverso, segue altre direzioni, altre forme, anche dal punto di vista del sound. Ho voluto differenziare perché non c’è più quella rabbia del precedente disco, c’è leggerezza, c’è distacco, c’è sicuramente un’intenzione nuova.
Che cosa è una “graziosa utopia”?
Graziosa utopia forse è la voglia di cambiare sé stessi e quando si vuole fare questo percorso bisogna anche essere graziosi, non prendere di petto le situazioni, non punirsi eccessivamente e al tempo stesso essere un po’ seri. Però questa è un’utopia, è molto difficile migliorarsi, anche perché è complicato capire in quale direzione spostarsi. Non è facile, tutti i modelli che ci vengono presentati secondo me sono sbagliati, ci vengono inculcati fin da piccoli quindi poi la difficoltà ad uscirne è doppia. Ci vuole molta bontà verso noi stessi e sperare nel cambiamento, questa è l’utopia.
Un disco più ottimista e meno rock. Una nuova predisposizione interiore che ha trovato sfogo in questo cambiamento di stile? Coincidenza o scelta?
Luca e Fabio, che sono gli arrangiatori e i produttori di questo disco, non hanno voluto fare un disco rock, sinceramente non so perché sia nata questa cosa, io mi sono affidato a loro, anche le canzoni andavano in questo senso e ha preso forma questo disco, in questa veste
È giusto dire che in questo ultimo disco hai fatto un po’ pace con i tuoi demoni? Hai abbassato un po’ le difese e ti sei abbandonato ad un po’ di leggerezza?
Sì, non c’è più il lamento, lamentarsi non serve è negativo al massimo e a volte quando ci si prende troppo sul serio si ha questa tendenza ad essere troppo disperati. È meglio la leggerezza, il distacco, l’autoironia. Quindi sì, diciamo che questo potrebbe essere anche un disco ottimista, poi non so.
Il tuo è un linguaggio ironico, provocatorio, quasi disincantato. Affronti gli argomenti in modo diretto, senza filtri ma allo stesso tempo c’è un sottofondo di umorismo, come se volessi sdrammatizzare il dolore, la violenza. Vero?
Sì è vero, l’umorismo fa parte di me. Anche per cose tragiche cerco di vedere un lato un po’ dissacratore, perché non mi piace cadere appunto nel lamento. Mi fa piacere che tu lo abbia colto perché è proprio vero, c’è questo lato e sono felice che si avverta in questo disco.
Anche l’amore, che è il tema su cui si è parlato e composto di più nella storia dell’umanità, non è mai affrontato in modo banale, come se lo riportassi ad un aspetto della vita. Come a dire che le cose grandi e vere non hanno bisogno di troppi ornamenti e ostentazioni.
Confermo in pieno. L’amore è una cosa quotidiana, che cerchiamo tutti. Le persone, le relazioni sono importanti, io ne parlo a modo mio, espongo la mia idea che è quella che dicevi tu, non serve ostentare e innalzare un sentimento a verità assoluta o ad un evento cosmico, se ne può parlare anche con semplicità, facendolo rientrare nella vita di tutti i giorni.
Per molti anni ti sei allontanato dall’Italia, dalla tua precedente vita e soprattutto dalla musica. Cosa ti è mancato di più, quale è stato il tuo percorso interiore di ritorno?
Mi sono mancato io. Sono arrivato a trentatré anni con un percorso per il quale molti avrebbero detto “bhè ce l’ha fatta, adesso da lì in poi è tutta discesa”, invece io ho imboccato la salita. Però era Karma, le cose negative succedono perché devono succedere. Mi sono allontanato dalla musica perché non avevo più interesse ad essere quello che ero diventato, forse è stato anche giusto, era una bomba che è scoppiata in quel momento, la mia vita è cambiata, ha preso un’altra direzione, poi dopo sei anni è scoppiata un’altra bomba e sono tornato e mi sono ritrovato a suonare ancora, forse perché è una cosa che sento.
Che ruolo ha la musica nella tua vita?
Mi cura. A modo mio mi fa sentire bene. C’è chi riesce a laurearsi, chi trova un bel lavoro, chi incontra un buon compagno. Io non è che riesco a combinare poi molto ma queste piccole canzoni che creo sono i miei gioielli. È come fare un bel sogno, quando riesco a comporre un pezzo la mia realtà in quel momento cambia e ho uno spazio di felicità. Lo faccio per questo.
Dal punto di vista del sound in questo disco c’è grande ricchezza: passi dal violino alla batteria, dai tromboni ai sintetizzatori. Ricerca? Sperimentazione?
È tutta colpa dei miei musicisti (ride), Luca Bossi e Fabio Capalbo, io offro loro le mie canzoni e loro ne fanno quello che da professionisti ritengono giusto, ci giocano, ci lavorano. Io ho messo il testo e loro la musica, siamo un gruppo, è un gioco di squadra.
Siamo a Roma quindi mi viene spontaneo chiederti qualcosa su Arrivederci a Roma. Di che parla?
In quanto italiano ho una fascinazione per questa città che ha un’energia particolare. Per me Roma equivale al nostro essere italiani, è Alberto Sordi, sono i film di Nanni Moretti e così via. Quindi quando vieni a Roma ti senti a casa. Arrivederci a Roma è un tributo a questa città che tra l’altro nasce da due canzoni bellissime degli Amor Fou, Anita e De Pedis, dell’album I Moralisti che mi hanno ispirato molto per questo pezzo. Diciamo che questa canzone è proprio un tributo alla nostra italianità.
In Un pensiero d’amore dici “Ti voglio bene ma di te non ho bisogno, a parte il fatto che adesso so anche chi sono, una bestemmia d’amore”. Questa è una canzone sull’amore? Sulla dipendenza? Sul riscatto?
Noi chiamiamo “amore” quella che in realtà è una forma di egoismo, l’amore vero è un’altra cosa. Mi viene in mentre una similitudine con un piatto indiano, una sorta di pizza che in realtà non c’entra nulla, è “un riflesso perverso” della pizza. Quando noi amiamo in realtà proiettiamo quel sentimento su noi stessi, è un piacere che cerchiamo per noi. Questa canzone è un po’ una denuncia, io ho rispetto per le persone, so che possiamo aiutarci molto, però l’amore assoluto fa parte di un altro piano.
Quello con gli Hare Krishna è un rapporto lunghissimo che porti avanti fin da ragazzo. Come è nato questo legame, come si è evoluto e come lo concili con la vita quotidiana e con questa società?
È un legame che nasce 35 anni fa e che riesco a conciliare sempre peggio con il presente. Loro non considerano questa realtà la vera realtà, anzi la vedono come un sogno e anche brutto che ci porta ad essere sempre più alienati. Io non volevo diventare Hare Krishna, bensì ricco e famoso, adorato dagli altri, rispettato, con un buon lavoro. Però a vent’anni mi è arrivata questa occasione e tutto è cambiato. Non attacca su tutti, non so se sono stata una persona privilegiata e questa è una fortuna che non si misura materialmente.
Zigulì sembra quasi una filastrocca per bambini. In realtà leggendo bene il testo emergono temi quali il tradimento, la paura di innamorarsi, la delusione e la disillusione. Una sorta di umorismo pirandelliano con l’avvertimento del contrario?
Esatto. Volevo proprio che sembrasse una canzone per bambini ma non parla di tematiche fanciullesche. Sono molto orgoglioso di una frase in particolare di questo pezzo, quella che dice “la tua saliva è la mia coca cola”, lì sono riuscito proprio a concentrare il senso del pezzo.
In Spaziale dici “per fortuna che ci sei sennò lei mi avrebbe lasciata morire meglio impazzire che soffrire”. Di cosa parli?
Parlo di una storia d’amore che finisce e quando questo succede, si sa, qualcuno soffre sempre, in genere uno più degli altri e a volte c’è la fortuna di trovare un salvagente, ognuno ha il suo, nel mio caso ho pensato alla coscienza di Krishna. Quando devi affrontare la separazione da una persona che ami ancora ma che non ama più te, per non impazzire devi aggrapparti a qualche cosa e a me tornano utili gli insegnamenti di quel pensiero e da qui la frase “per fortuna che ci sei”.
TRACKLIST
1 Spaziale
2 Signora
3 Benedicimi
4 Zigulì
5 Brunello
6 Un pensiero d’amore
7 Picchiami
8 La liberazione
9 Arrivederci a Roma
10 Il santo e il capriolo
Sabrina Pellegrini

Si appassiona alla musica sin da bambino, scoprendo la vena rock n roll alla tenera età di 8 anni folgorato dall’album EL DIABLO dei Litfiba e PARANOID dei BLACK SABBATH. Nel 2010, insieme a due amici, Alessio Mereu e Alessandro Cherubini fonda il LITFIBA CHANNEL che di li a poco diventerà la radio ufficiale della storica rock band di Piero Pelù e Ghigo Renzulli, all’interno della quale conduce il programma SOGNO RIBELLE scoprendo e intervistando insieme a GRAZIA PISTRITTO band come IL PAN DEL DIAVOLO, BLASTEMA, KUTSO, ILENIA VOLPE, METHARIA, FRANCESCO GUASTI, PAVIC, UROCK. Format portato anche in formato live organizzando serate di vera e propria musica live in alcuni locali di Roma. Nel 2017 dopo tre anni alla direzione di una webzine, decide di fondare e dar vita a INSIDE MUSIC insieme alla socia MARTA CROCE.