DNA è la nuova fatica dei Deproducers, collettivo di musicisti navigati, che racconta la nascita della vita sulla Terra fino all’Uomo, e i cui proventi sono devoluti all’AIRC, uscito per Al-Kemi records il 9 aprile 2019.
Si può raccontare la chimica della vita?
Si può parlare con i legami fosfodiestere, con gli RNA nello spliceosoma, con i ribosomi che lavorano alacramente? Con i fosfolipidi che, tumultuosi, si arrovellano in tante piccole onde?
Si può cantare la semplice bellezza di un radicale libero neutralizzato da una solitaria proteina che pattuglia la doppia elica, arrotolata come rocchetti di filo delle nonne attorno agli istoni?
Sono molte le teorie che si interrogano – e provano a fornire risposte – sull’origine della vita sul nostro pianeta. Innanzitutto, perché? Forse perché siamo in quella zona – perfetta, come il letto di Riccioli d’Oro – abbastanza vicina alla nostra stella per supportare, in presenza di atmosfera, l’acqua liquida, ma abbastanza lontani per non essere investiti da raggi UV e flares da esplosioni nucleari grandi come Giove. Venere è una pentola a pressione di anidride carbonica, Mercurio un arido pianeta ctonio, Marte le vestigia di un tempo che fu più clemente con la sua polvere rossa: solo la Terra, pianeta blu, ricchissimo d’acqua, ha sostenuto la vita.
Abiogenesi. Il concetto per il quale la vita, sul nostro pianeta, sia nata dal nulla. Ed è ciò che sostengono i Deproducers nella prima traccia del loro nuovo album DNA: Vittorio Cosma, Riccardo Sinigallia, Gianni Maroccolo e Max Casacci. Un collettivo che è stato fondato col preciso compito di musicare le conferenze scientifiche. Ah, la ricerca. Croce e delizia della scrivente – che, per chi non lo sapesse, fa la ricercatrice. C’è anche uno scopo benefico: i ricavati andranno ad AIRC, l’ente italiano per la ricerca sul cancro. Narratore è lo scienziato Telmo Pievani, che, puntuale, racconta quanto di bello la biologia abbia da offrire.
E’ nel mare caldo primordiale si dice che effettivamente siano apparse le prime entità in grado di riprodursi: gli RNA. Tutto questo è descritto nella silenziosa Abiogenesi, crescendo elettronico che fa eco sia al post rock dei Mogwai che alle ispirazioni biologiche di Fatboy Slim. Ma anche al più illustre predecessore, nella biochimica in musica, che ci sia nel cuore di un italiano melomane: Fetus di Franco Battiato.
Ma, esattamente come l’infinita varietà di vita sulla Terra – dai batteri unicellulari alle balene – DNA cambia nettamente con la seconda traccia, Storia Compatta della vita: partendo dal capolavoro di Carl Sagan, il Calendario Cosmico, del ’66. Il geniale astrofisico compiette l’esperimento consistente nel racchiudere l’intera storia della Terra in un singolo anno – fatte le dovute proporzioni. Mentre l’oratore racconta, in sottofondo si odono synth evocativi di splendide accelerazioni, la radiazione del Cambriano e l’estinzione di massa della catastrofe dell’ossigeno. Piccole scatolette di lipidi capaci di riprodursi, di immagazzinare energia, di catturare la luce del giovanissimo sole – i dolci cianobatteri carichi di glucosio che ancora esistono e colorano di azzurro e verde le superfici porose. Accelerazioni di synth e groove di chitarra elettrica accompagnano la morte dei dinosauri e la nascita delle piante; delicati archi e arpeggi evocativi descrivono la nascita dei primati. E da essi, una manciata di minuti dopo, l’uomo: l’estinzione dei Neanderthal, la fine dell’ultima glaciazione. Ed un guizzo di synth malinconici si insinua in Storia Compatta della Vita, perché tutto ciò che era stato creato – per panspermia o abiogenesi – è stato divorato da un’unica specie dominante, ciò che noi biologi chiamiamo, però, con l’accezione di specie invasiva: l’Homo Sapiens Sapiens. In ispirazioni trance minimal, le conquiste del genere umano – da agricoltura ai metalli, alla bomba atomica – vengono enumerate, sempre più frequenti, spogliate dell’accezione positivista e miope degli anni passati; il piano, un pianto triste di un uomo abbandonato in un bar, pochi soldi ed un pacchetto di sigarette davanti, che ascolta triste un quiz a premi iberico. Ed una chitarra, un assolo energico che è una sorpresa; che è catastrofe dell’ossigeno e crollo dell’umanità.
Si prosegue con la mini suite Caso e Necessità, che inizia con un giro di chitarra acustica interrogativo, cui si intervalla basso e synth delicatissimi di sottofondo. Il morboso noir della selezione naturale: Darwin. All’improvviso, una ritmica di percussioni e trumpet techno interrompono lo status quo, sempre più sincopata ed inquietante: un agente che perturba l’equilibrio dell’ecosistema. Uno a uno, si aggiungono piccoli elementi strumentali, da synth a chitarre, a narrare di colli di bottiglia – di catastrofi e dei pochi che resistono. Da cosa deriva, la selezione naturale? Beh, il suo motore – come viene narrato nel brano – è la mutazione. Per quanto mini-macchine perfette, le DNA polimerasi, le proteine deputate alla replicazione del DNA, circa una volta su un milione sbagliano. Uno sbaglio che non per forza deve essere negativo. Su questo semplice concetto Darwin ha innestato la sua intera teoria evoluzionistica – verità universale. La musica scheletrica che accompagna la descrizione di minuscoli, affascinanti, infinitesimali, eventi, evolve poi in crescendo post rock fino all’evocativo finale che, fra cori e delicatissima melodia che si rifa a modelli come gli Audiomachine e i Two Steps from Hell, rende sacro quello che l’entità sacra occidentale per eccellenza – la Chiesa – ha ostracizzato per secoli: il diritto all’evoluzione. L’accettazione di vivere in un Universo che muta continuamente forma, si espande, estende, e che la vita è basata sulla combinazione di elementi infinitamente semplici.
Il suono cyberpunk, scintillante e pulitissimo, di Suite Cellulare, ci fa scivolare nella bagnata oleosità della membrana cellulare fosfolipidica, e ammirare come montagne distanti le proteine in essa inserite, con il suono delicato di un piano e cori gregoriani a formare un coro energetico a feedback positivo. Una chitarra si insinua, assieme a fiati distanti, per un intermezzo da cinematografia Lynchiana e inquietante: che si tratti di uno spermatozoo che cerca di farsi strada nell’utero? Il crescendo post rock si apre poi in un intermezzo narrativo, che elucida i vantaggi della rivoluzione sessuale:il sesso è prevenzione naturale all’estinzione. Ed è proprio, dunque, la natura ad insegnarci che il concetto di “purezza razziale” è semplicemente una grandissima cazzata. L’ultima parte di Suite Cellulare, jazz e sperimentale, allegra e aperta, suona molto come la dolce marcia funebre che suonano le vicine mentre una cellula va in apoptosi – una sorta di suicidio, di harakiri finale, di una cellula, per il bene dell’organismo.
Il libro che mi convinse a studiare Biotecnologie fu Genetica del Peccato Originale di Christian De Duve, dove veniva trattato in modo estremamente fruibile e semplice il tema della nascita della vita sulla Terra, argomento che già vi ho anticipato. Beh, attualmente si utilizza un modello che vede, come progenote, L.U.C.A., Last Universal Common Ancestor: insomma, la cellulina vincente dalla quale tutti deriviamo. Probabilmente simile ad un cianobatterio, fotosintetizzante, abituato alle temperature bollenti di Gea antica: e protagonista di LUCA di DNA dei Deproducers. Sincopata e dance, la frase Last Universal Common Ancestor viene declinata con filtri, cui si intervalla un affascinante giro di chitarra e ad aperture space rock, a là God is An Astronaut e Spiritualized: una vera e propria ode a quell’oscura bestiolina che ebbe l’ardire di riprodursi e generare infiniti figli e figlie.
Fra tanta positività espressa, però, finora, da DNA, mancava un collante con lo scopo benefico al quale è destinato dai Deproducers: la risposta è in Cancro. Brano in cui si fanno strada ispirazioni prog di organi Hammond distanti, marziali percussioni che divorano immediatamente la blanda resistenza tentata dai giri di chitarra: linfomi che uccidono linfociti T e cellule NK. Un’avanzata incessante, attraverso tessuti, creando metastasi, riproducendosi a dismisura – ciclo cellulare impazzito e telomerasi attiva – rappresentati da chitarre sempre più spaventate, urgenti, per il brano indubbiamente qualitativamente più alto dell’intero DNA. Il tremendo finale, affidato ad un singolo tremulo, non lascia presagire nulla di positivo per l’ospite.
Eccoci alla fine del viaggio attraverso la biologia molecolare, con Serendipità, il concetto per il quale si incappa nelle migliori scoperte proprio mentre si cerca tutt’altro. Fu per serendipità che è stata scoperta la penicillina; è stato per la tenacia di alcuni ricercatori che possediamo attualmente il più potente sistema di terapia genica, CRISPR-cas9. Rockeggiante ed evocativa – quasi lamenti di balene in sottofondo, dietro la chitarra e le tubular bells – Serendipità riporta valore al prezioso lavoro del certosino ricercatore. Tipico crescendo post rock, infarcito, però, di elementi da colonna sonora, è il finale perfetto per un album come DNA.
In conclusione, i Deproducers – musicisti navigati – hanno fatto di nuovo centro. Con un lavoro ambizioso, in quanto l’unico precedente nella storia della musica italiana è stato il più che sperimentale Fetus di Franco Battiato, imperniato, però, quasi esclusivamente sul tema della fecondazione e dell’embriogenesi e privo di volontà didattiche. DNA potrà far affascinare anche i meno avvezzi alla scienza, e potrà forse far comprendere l’infinito impegno e fatica che c’è dietro discipline come biologia e medicina.
Grazie, Deproducers.
Copertina e tracklist di DNA dei Deproducers
01) ABIOGENESI
02) STORIA COMPATTA DELLA VITA
03) CASO E NECESSITÀ
04) DNA
05) SUITE CELLULARE
– cellula
– monocellulare / pluricellulare
– nascita del sesso
– suicidio cellulare
06) L.U.C.A.
07) CANCRO
08) SERENDIPITÀ
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