Il 24 maggio è uscita per Metal Blade la nuova sciabolata della band core milanese che buona parte del mondo ci invidia.
Quando il giugno scorso lor signori Meshuggah scesero al Live di Trezzo per l’unica data nel nord Italia, furono i Destrage ad aprire i mosh pit della serata, con un carattere che aveva poco da invidiare agli headliner. Per chi vi scrive, che ha seguito la crescita della band fin dai tempi di Urban Being (quando ancora non c’era un batterista capace di star dietro alle follie sperimentali dei compositori) e The King Is Fat ‘n’ Old, la soddisfazione è stata immensa. In effetti, dopo anni di tour in Italia e all’estero, i ragazzi milanesi vantano ormai un approccio di livello internazionale, una precisione esecutiva invidiabile e una dosa notevole di ironia tutta tricolore.
Con The Chosen Ones la sensazione iniziale è che la band abbia fatto una scelta diversa rispetto al diretto precedente: lo sperimentalismo c’è sempre, ma la voglia di far arrivare un messaggio è stata più forte. L’album è piuttosto breve, lavora molto sulle atmosfere, mentre i momenti spiazzanti o puramente what a fuck (i sample di Homer Simpson, per esempio) sono meno numerosi che in passato. Ciò non toglie, dato che si parla pur sempre dei Destrage, la presenza di brani estremamente variegati, con accordature che cambiano da un momento all’altro, con ritmiche divise in sezioni tra loro diverse ma miracolosamente combinate a dare un senso di unità.
Si avverte, insomma, l’urgenza di scrivere questo quinto episodio con tutta la lucidità possibile: non stupiscono le rivelazioni del chitarrista Matteo Di Gioia, che parlano di un processo compositivo in uno studio scomodo, senza riscaldamento, senza aria condizionata, nelle viscere delle strade milanesi. Il risultato è un album con pochi fronzoli, che parla attraverso i riff spaccatimpani, i suoni curatissimi degli strumenti, il mix e il master affilati.
Qui abbiamo parlato del singolo di lancio, che già aveva colpito per la struttura a climax perfettamente riuscita, e i cui temi principali torneranno nel brano di chiusura, tra cui il tema della scelta. Si nota uno degli elementi ricorrenti della prassi compositiva dei Destrage: ogni strumento sembra seguire una sua ritmica, finché le sfasature non si assestano misura dopo misura e anche i quattro quarti della batteria si ritrovano con il metro degli altri strumenti.
Da qui in avanti, si alternano ritornelli quasi radiofonici (a partire da About That ed Hey, Stranger!), riff di matrice djent (a volte mimetizzati nelle strofe, a volte spudorati come nella chiusura di Hey, Stranger!), martellate deathcore à la Whitechapel con tanto di growl del frontman Paolo Colavolpe (At the Cost of Pleasure), distorsioni dissonanti à la Dillinger Escape Plan (Mr. Bugman sembra richiamare l’intro di 43% Burnt), e infine alcuni di quei momenti ricorrenti in cui, fondamentalmente, non si capisce un’acca di quello che sta succedendo (Headache and Crumbs).
Nota interessante: gli inserti più inaspettati come il sax baritono o i synth (tra cui il lead MEGATRON) si integrano e quasi passano in sordina, in ulteriore riprova del fatto che la volontà era di fornire un pacchetto unitario, diretto, in cui tutti gli elementi lavorassero al sound generale senza che uno emergesse più degli altri.
Per il gusto di chi vi scrive, qualche volta in passato si rivelava un eccessivo sbrodolamento di tecnica fina a se stessa, atta forse a mettere sul piatto tutte le abilità del talentuoso Fede Paulovich. La scelta dello sperimentalismo estremo non è in sé negativa, naturalmente, ma fa perdere un po’ d’impatto al pacchetto: il discorso tecnico, invece di illuminare il suo oggetto, tende piuttosto ad occultarlo. O meglio, lo assume come puro pretesto: luogo di applicazione di categorie da lezione di solfeggio. O ne disarticola le parti fino a rendere quasi irriconoscibile l’insieme.
A questo giro, invece, non c’è un solo passaggio che suona come messo lì tanto per dare lezioni. Ci sono i fill di batteria complicati, ci sono gli hi-hat e gli svariati piattini suonati a velocità disumane, ma non si perde mai il filo logico dei brani.
Con The Gifted One, post-rock nei primi due minuti e nuovamente hardcore sul finale, si cala il sipario sull’ultima fatica di casa Destrage. “The Chosen One” è stato prodotto dalla band e da Matteo “ciube” Tabacco presso i Raptor Studios di Vicenza, mentre le fasi di mix e master sono state curate da Josh Wilbur (Megadeth, Korn, Gojira, Lamb Of God e molti altri).
La track list completa:
1. The Chosen One
2. About That
3. Hey, Stranger!
4. At the Cost of Pleasure
5. Mr. Bugman
6. Rage, My Alibi
7. Headache and Crumbs
8. The Gifted One
Tecnico, Marinaio, Giornalista, Intellettuale, Intelligente… non sono niente di tutto questo.