Rock ‘n Roll Armageddon è il nuovo album della storica band Death SS, ritornata dopo cinque anni d’assenza.
Dire Death SS è dire metal in Italia. Una band storica, nata anche un po’ per gioco: nel 1977, Stefano Silvestri divenne Steven Sylvester e Paolo Catena un elegante Paul Chain nei Death SS, cui si aggiunsero altri musicisti che si sono altalenati nel corso dei decenni. La band ha precorso le tante masquerade che si sono succedute poi, e si è andata a inscrivere nel tema del carnevalesco/granguignolesco che andava tanto di moda nei primi ’80: ognuno dei musicisti ricopriva un ruolo di creature mitologica o macabra. Il vampiro, la morte, il negromante, il licantropo, lo zombie, la mummia: l’horror, nei primi anni dei Death SS, la fa da padrone. I loro concerti sono delle esperienze uniche nel panorama nostrano: sangue finto, teschi, lapidi, ragnatele, carne putrefatta, insetti, grida, paranormale. Insomma, i romani Theatre des Vampires e la bella Sonya Scarlet sono dei novellini in confronto.
Unica costante nella lunga storia della band è stata, appunto, il caro Sylvester che, dopo vari fallimenti anche di carriera solista, rifondò la band nel 1988 a Firenze e di lì a poco uscì l’album …in Death of Steve Sylvester, incentrato sulla paura e sul terrore. La svolta, per la band, in quel periodo abbastanza stabile in quanto a line up, avvenne con l’incontro col produttore Neil Kernon, che aveva lavorato già con gente del calibro dei Judas Priest: Panic è il disco qualitativamente più alto dell’intera (ad allora) discografia dei Death SS. Recuperano gli elementi horror, mescolandoli con suggestioni esoteriche, e con la magia oscura del prezzemolino Alejandro Jodorowski, autore di fumetti e regista che sembra avere la mani in pasta con qualunque artista nostrano in quel periodo (non dimentichiamo il suo sodalizio con Franco Battiato).
Altri album si susseguirono: Humanomalies nel 2002, The Seventh Seal del 2006, e, dopo ben sette anni, Resurrection del 2013. Ora, per Lucifer Rising Records, è uscito Rock n’ Roll Armageddon.
Va fatta una doverosa premessa tecnica: i tempi sono cambiati, per l’heavy metal. Al di là degli immortali Iron Maiden, è un genere che non ha più l’audience di un tempo, per se, in quanto le sue sonorità sono state inquinate, o contaminate, dall’elettronica; in contemporanea, si è avuta una certa deriva verso lidi prog/art rock, raggiunti più o meno bene, con una certa estinzione di riff di chitarra pura e di cantato up-tone. I Ghost di Tobias Forge sono stati un’iniezione di ossigeno per il genere, dal momento che hanno fatte loro contaminazioni pop e non hanno accettato di essere specie protetta: i Death SS, nonostante i quasi sessanta anni del caro Sylvester, sono un intero polmone d’acciaio, con i loro rimandi ai sabba, a Lucifero, ai demoni. Vi è una freschezza, un gioioso vento anni ’80, arioso e trascinante, che sembra incredibile possa provenire da una band di così vecchia data: eppure soffia. Insomma, pare che l’heavy metal, genere ombrello che oramai sembrava aver esaurito tutte le sue declinazioni stilistiche, abbia ancora qualcosa da dire.
Attualmente, la formazione dei Death SS conta Steve Sylvester come voce e mente pensante (1977-1982, 1988-oggi) ; Freddy Delirio alle importantissime tastiere (1994-1996, 2005-oggi); Al De Noble alla chitarra chitarra (2007-oggi); Glenn Strange al basso (2005-oggi) e Bozo Wolf, puntualissimo alla batteria (2012-oggi)
Rock ‘n’ Roll Armageddon dei Death SS (Lucifer Rising Records): artwork e tracklist
- Black Soul (4:44)
- Rock ‘N’ Roll Armageddon (3:57)
- Hellish Knights (4:33)
- Slaughterhouse (3:45)
- Creature Of The Night (5:57)
- Madness Of Love (4:56)
- Promised Land (3:07)
- Zombie Massacre (3:42)
- The Fourth Reich (3:46)
- Witches Dance (4:04)
- Your Life Is Now (4:44)
- The Glory Of The Hawk (3:55)
- Forever (4:26)
Il disco si apre con l’organo di Black Soul, che evolve in un canto gregoriano molto black metal, ma, allo stesso, catchy, e godibilissimo: un leit-motif che guiderà tutto Rock ‘n’ Roll Armageddon. Sylvester canta come un ragazzino, fra urletti e vibrati sorprendenti. Subito, neanche il tempo di riprendersi dai cori infernali di Black Soul, ci si tuffa nell’apocalisse della title track nonché singolo: Rock ‘n’ Roll Armageddon. Le sirene annunciano l’Apocalisse (ma non erano le trombe degli angeli?), e chitarre elettriche si intrecciano in un pregevole gioco blasfemo, mentre batteria e basso forniscono un pienissimo tappeto musicale. Su ciò si innesta il canto da araldo e profeta di Sylvester, narrante la disfatta dell’umanità, che, nell’orecchiabile refrain, è accompagnato anche da synth anni ’80 molto Europe. Divertentissimo.
Non ci si ferma un attimo e si arriva alla futura hit: Hellish Knights, i cavalieri dell’Apocalisse cavalcano cavalli scheletrici e i tamburi dell’inferno li accompagnano. Qui l’ossigeno non è più al 20% nell’atmosfera, sfiora il 40% e siamo vicini alla combustione spontanea: un inno heavy metal, energico e orecchiabile. Chorus perfetti, intensissimi, da stadio, con un ottimo utilizzo della parte di percussioni e tastiere, seminascoste ma indispensabili a fornire completezza al sound.
Slaughterhouse, macello da animali, si apre con le grida di terrore di maiali e mucche che vanno incontro a morte certa: riff di chitarra oscuro e doppia cassa creano un’atmosfera da Saw-L’Enigmista, ed un fantastico cambio di ritmo a metà strofa rende il brano complesso ma molto evocativo. Il refrain, ancora, orecchiabilissimo, e catchy, è pervaso da organi oscuri: una parata nera, fatta di uomini in cerone bianco e catene. Il brano è in accelerazione, in una discesa caotica verso la ghigliottina.
Creature of the Night recupera il gothic tanto care alla band (ora) toscana. Siamo nelle atmosfere dei primi libri di Stephen King, siamo nel Pet Sematary (I don’t wanna be buried in a pet cemetery!, dicevano i Ramones) e a Jerusalem’s Lot, in cui i morti camminano sulla terra e vogliono vivere ancora: brano hard rock, vocal driven, leggero accompaganemnto di chitarre elettriche e batteria. Sylvester sussurra nelle strofe e grida nel refrain, in un tono monocorde meravigliosamente zombie: una creatura una volta viva che ora caccia in branco, assieme ai suoi simili, nella notte. Il mid-tempo si ripete in Madness of Love, ballata gotica e romantica, in cui le chitarre spadroneggiano nel bridge, Siouxie and The Banshees e i più recenti HIM, su, nel lontano nord: i synth anni ’80 ci ricordano, però, che siamo in presenza di Death SS.

I quattro cavalieri dell’Apocalisse secondo Viktor Michajlovič Vasnecov.
Dalle atmosfere rilassate ed un po’ decadenti ci rituffiamo nel verde acido di Promised Land: groove come sferzate, cantato di vento infernale, frustate dai diavoli come acutissimi effetti di tastiera. Nel regno dell’allucinazione della terra promessa ora rubata abbiamo scream da Dani Filth e riff di chitarra classic hard rock: non c’è Slash, ma Freddie Delirio, all’assolo.
E ci siamo, il clichè è compiuto: Zombie Massacre. Le creature della notte hanno scavato con mani ossute fuori dalla terra, si sono erette su gambe tremanti, ed i Death SS divengono i Lordi di Hard rock Halleluja: un anthem orecchiabilissimo, ricchissimo di tastiere e cori, eppure incredibilmente moderno.
Se vogliamo immaginare una storia che sottenda a Rock ‘n’ Roll Armageddon, potremmo dire che gli zombie hanno preso il controllo del mondo come nel romanzo Io sono Leggenda, e hanno stabilito il Fourth Reich, il Quarto Reich (qualcuno ricorda il film degli zombie nazisti, Dead Snow?). Brano militaresco, con i tamburi a scandire il tempo in un perfetto 4/4 che non ammette distrazioni, pena la decimazione, mitragliatrice nel bridge, grida di battaglia, esplosioni di granate: cori virili di soldati del regime vanno ad arricchire il refrain, assieme a deliranti vibrati di chitarra. Rallentiamo all’improvviso per studiare il contrattacco agli zombie nazisti da parte delle streghe danzerecce di Witches’ Dance, che, per l’appunto, si apre con dei bei synth electrodark tedesca (leggasi Blutengel/Psychlon Nine), sfociando poi in una litania spettrale fortemente ritmata da chitarre acidissime: si va così a comprendere che le tastiere sono i tamburelli delle streghe, gli strumenti blasfemi e pagani. Ancora azzeccatissimo il refrain.

Fotogramma di Dead Snow 2, film del 2014 di Tommy Wirkola.
Andiamo nel folk con un’improvvisa fisarmonica ed una chitarra acustica di Your Life is Now: magistrale esempio di come il rock classico abbia ancora da dire, e molto. Si può fare una bella power ballata cantando con voce pulita, contaminando poco con effetti elettronici ben azzeccato, contando su un ritmo accattivante, in cui il brano si spegne in un fading decisamente retrò. Rimaniamo nelle stesse placide atmosfere, ma in un altro continente, nel Nord America precolombiano, The Glory of The Hawk: ci sono gli indiani, che cavalcano i cavalli e fuggono dall’Apocalisse. È una cover dei Thelema, band per cui Sylvester cantò. Vera e propria rilassante ballata, è sorretta da una gradevolissima melodia da echi distanti nelle grandi pianure, da spaghetti Western.
Siamo giunti quasi alla fine del sorprendente ritorno dei Death SS. L’album si chiude con Forever, e torniamo all’heavy metal. Splendido contrasto fra le ombre della strofa e le luci sfavillanti, da palcoscenico, del lunghissimo refrain, che ci ricorda i fasti gloriosi degli Eighties: il brano si chiude come un metal anthem, sulle lunghe note del titolo. Già.
Dunque, l’heavy metal è morto, lunga vita all’heavy metal? Forse no. I Death SS non sono morti, e dopo quasi quarant’anni di carriera, Sylvester sembra avere ancora, molto, da dire. Perché ha saputo accettare i mutamenti dei tempi, l’esaurimento fisiologico del filone, ed ha còlto ciò che di buono, nei decenni, il metal e la musica in generale hanno saputo proporre. Rock ‘n Roll Armageddon è un album organico, ben congeniato, godibile, e, soprattutto, divertente da ascoltare. Energico, frizzante, eppure unico: ciò che una grande esperienza sa creare. Numerose sono le possibili hit, azzeccata idea commerciale: Rock ‘n Roll Armageddon evoca spensieratezza, evoca voglia di birra e di headbanging, senza compromessi, senza che l’audacia sfoci in tracotanza col rischio (corso e in cui sono incorse moltissime band) di combinare un disastro stilistico. Ma è in ciò che sta la maturità del Re del Male, che è stato in grado di coordinare pregevoli parti chitarristiche con la capacità di essere accattivanti.
Se l’Italia fosse un paese in cui il talento musicale è premiato, i Death SS dovrebbero scalar le classifiche. Confidiamo nel futuro e, intanto, bentornati!
Giulia Della Pelle
