DALILA SPAGNOLO ci presenta il nuovo album “LA FAME NELLE SCARPE” – INTERVISTA

di Alessia Andreon

“La fame nelle scarpe” è nuovo album di Dalila Spagnolo, il secondo progetto discografico della cantautrice leccese, che si è autodichiarata “cantautrice di fragilità”.

Dalila è una cantautrice eclettica e sperimentatrice e il suo sound spazia dal pop alla world music e fonde generi e stili musicali diversi. 

In questo nuovo lavoro il sound è più elettronico e la sperimentazione più evidente, pur conservando l’amore per i ritmi africani che contaminano alcuni dei brani presenti nell’album.

Il progetto cantautoriale di Dalila Spagnolo nasce nel 2020 e, dopo il secondo posto al Premio Lunezia, si concretizza nel 2021 con “Fragile”, l’album che segna il suo esordio discografico. Nello stesso anno rientra tra i vincitori di Area Sanremo, arriva in semifinale al Mei e al Primo Maggio a Roma.

In questa intervista Dalila ci racconta i testi delle sue canzoni che parlano di fragilità e di sfide legate alla crescita personale.

L’album “La fame nelle scarpe” si compone di dieci tracce molto diverse tra loro, il cui filo conduttore è la storia dell’evoluzione e della crescita personale che parte dai timori e arriva ad una fase più matura e consapevole in cui è consentito “crescere tenendo l’io bambino per mano”.

Ciao Dalila,

“La fame nelle scarpe” si compone di dieci tracce molto diverse tra loro, ti va di raccontarcele?

Il titolo che hai scelto per questo tuo secondo lavoro discografico gioca sul significato delle parole “fame” e “scarpe”, a simboleggiare che sono due parti imprescindibili nel tuo lavoro. Quanta strada ti senti di aver percorso con quelle “scarpe” e quanta “fame” hai, in questo momento?

Ciao Inside Music, ora di fame ne ho tanta, devo gestirla e non scordarmi mai di averla (finalmente) trovata. 

Ho chiamato questo disco così affinché fungesse da mantra per me stessa e per tutti i momenti di sconforto che potranno esserci.

Le scarpe sono consumate, ma i piedi non sono stanchi. Sono all’inizio ed ho tanta voglia di viaggiare ed incontrare sguardi nuovi.

Vi racconto un po’ come si evolvono le tracce nel disco:

1. Prelud’io

Un preludio dedicato ai timori più atavici. Il mood è mantrico e sia la musica che l’ intenzione del testo è crescente fino a scavare nell’intimo dell’ascoltatore.

2. Alberi d’eterno

Porta alla luce un dialogo con i timori più profondi e la sfida personale di preservarsi dall’incoerenza e dalla minaccia di compromettersi.

“I timori miei preziosi” è una dichiarazione aperta per schierarsi dalla parte di una fragilità riconosciuta, accettata e trasformata in opportunità.

3. L’erba voglio

Un brano lunatico, che mostra la parte più leggera, ma anche quella più sensibile al perdono, l’ansia di essere presente e stare bene agli occhi degli altri e l’ipocrisia che si cela nelle relazioni.

4. Faut pas douté de moi ft Petit Solo

Faut pas douté de moi è un brano cardine per l’album. Nella ricerca del sè più profondo e sincero, mi chiedo: Chi sono io? e poi Chi sarò io?

Nel tumulto di dubbi e incertezze nelle quali si impara a navigare, nel ritornello chiedo la fiducia a coloro che vogliono interrogarsi chiedendosi: Chi sono?

Nel brano c’è la batteria di Mylious Johnson, importante batterista nella scena pop, hip hop (Giorgia, Ultimo, ecc).

Lo strumento a corde che spicca è il kamalè ngony, uno strumento africano simile alla kora. A suonarla è Petit Solo Diabaté, la voce presente nel brano.

5.   Tracciare le distanze

Un brano che chiede di arrendersi all’amore, alla pace, di smettere di farsi la guerra, partendo dalle piccole relazioni, dalle quali possiamo imparare e crescere insieme all’altro.

6. Interludio (portami via)

Un monologo che descrive la sofferenza e il disagio della solitudine, del malessere del vivere, del senso di vuoto e di impotenza che ognuno vive nel corso della vita. Il pezzo termina con la consapevolezza di voler evolversi, ma è come se ci fosse un alone resistenza che lo impedisce.

7. Forse

Forse è la parola dell’incertezza, del dubbio, della procrastinazione.

Ciò che nella vita fuggiamo è ciò che, alla fine dei conti, ci riguarda da vicino. D’altronde, è proprio con questa parte oscura, pigra, sola, disagiata, colma di rabbia e frustrazione, che negli ultimi anni si è affrontato lo scontro diretto.

8. Superpower

Un brano energico dai ritmi africani, al balafon e alle percussioni ancora Petit Solo Diabaté. Il testo si ripete per rimarcare il messaggio: anche se la cosa ci fa sentire impotenti e vulnerabili, non abbiamo i superpoteri. Non possiamo cambiare la sofferenza che c’è nel mondo.

9. Quel Santo giorno

Nasce come poesia, viene musicata. È un brano d’amore dove trapela la reciprocità della relazione e si dichiara che l’altro è la culla per tutte le sofferenze trascorse, presenti e future.

10. Crisci Figghia mia ft Rachele Andrioli

La conclusione dell’album risiede nelle parole di questa traccia. Qui è la vita che parla a quella bambina intimorita del Preludio. È la vita che parla e risponde a tutte le sofferenze dichiarate nell’intero album, la rassicura e la invita a crescere senza paura. Perché se la vita è buona con le persone buone, nulla è da temere.

Cosa intendi con la definizione “cantautrice di fragilità”? Non credi che possa legarti troppo a un certo tipo di testi?

Assolutamente sì, lo credo. E’ una grande responsabilità per me, essermi affibbiata questo nome. 

Non amo le etichette ed è per questo che ora non è più la prima cosa che scrivo e dico di me. 

Non ho paura di cambiare e scombinare gli equilibri che io stessa mi sono creata, però so anche che sarò sempre “cantautrice di fragilità”, perché credo nel potenziale di tutti gli aspetti umani, canto la crescita personale e non potrò mai scordarmi da dove vengo e la capacità che la musica mi concede, di trasformare il dolore.

Dopo aver sfiorato la vittoria al Premio Lunezia, nel 2021, con “Fragile”, hai anche partecipato ad Area Sanremo, al Mei e al Primo Maggio. Quale di questi importantissimi palchi ti ha dato di più?

Ogni esperienza è stata meravigliosa perché contornata da incontri con altri artisti, nuove amicizie, traversate da sud a nord Italia, sacrifici e speranze condivise.

Il Premio Lunezia è stata la mia prima esperienza e soddisfazione artistica, la vittoria di Area Sanremo è stata inaspettata e sorprendente.

Ricordo di aver stretto i pugni (in segno di vittoria) solo nell’ultimo caso.

Notai di non averlo mai fatto prima, in quel periodo avevo bisogno di quella gratificazione, ma ciò che mi porto oggi è l’esperienza di conoscere un po’ più da vicino alcune realtà. È un mondo difficile e desidero sempre entrarci con onestà.

L’album “La Fame nelle scarpe” è collegato a uno spettacolo teatrale che ti vedrà impegnata su vari palchi con “Concerto per Voce e Corpo”. Come mai hai scelto questa veste per la presentazione?

Il progetto live è nato nella mia testa un anno fa, ho iniziato a frequentare di più il teatro, a lasciarmi ispirare da ciò che vedevo, ho partecipato,  negli ultimi anni, a molti concerti di artisti che stimo.

Grazie a ciò che ho visto ed assorbito ho finalmente compreso cosa volevo fare, riuscendomi finalmente a visualizzare in un futuro prossimo. Ciò che vedevo era un palco, i musicisti e un performer al mio fianco. 

Sono fiera dello spettacolo che ho costruito, i feedback sono positivi, le persone si emozionano e questo è l’obiettivo principale per me. Aspiro ad un coinvolgimento emotivo del pubblico, a scuotere il cuore e invitare le persone in un mondo condiviso dove la musica racconta di vissuti interiori ed accompagna nei percorsi personali.

Per questo… buon ascolto de “La Fame nelle Scarpe”, ciao!

Forse – Dalila Spagnolo
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