Home Approfondimenti B-side, l’altro lato della musica presenta: Johnny Cash – Hurt

B-side, l’altro lato della musica presenta: Johnny Cash – Hurt

by InsideMusic
hurt

Un brano dei Nine Inch Nails si trasforma in quattro minuti nel testamento di un’icona della musica

Intro
Per l’appuntamento di questa settimana, B-side presenta una novità: per la prima volta dalla nascita di questa rubrica, infatti, il brano proposto oggi sarà una cover. Non una cover qualunque, ovviamente.
Anno 1994, i Nine Inch Nails pubblicano il loro secondo album in studio “The Downward Spiral“. Il disco ottiene un successo strepitoso, alimentato dal brano di chiusura “Hurt“, che non passa inosservato alle orecchie di un mito della storia della musica. Nel 2002 infatti Trent Reznor, leader della band, riceve una telefonata: era Johnny Cash, che gli chiedeva il permesso di realizzare una
cover del suddetto brano. Reznor si dichiarò lusingato dalla proposta e cede alla richiesta, seppur temendo che il suo brano potesse essere snaturato. L’ipotesi diventò presto certezza.
La versione originale di “Hurt” gettava uno sguardo al passato carico di speranza per un futuro migliore, mentre invece la sua reinterpretazione ad opera di Cash assunse il carattere di una rievocazione nostalgica e dolorosa di una vita vissuta sempre al massimo. Il risultato è un brano logorante ed emozionante, accompagnato da un video dai toni forti e suggestivi: un Johnny Cash
ormai vecchio e stanco, viene ripreso solo nella sua casa-museo di Nashville, avvolto dai ricordi.

“Hurt” verrà inserito nell’album “American IV: The Man Comes Around”, diventando una sorta di “lascito” musicale dello straordinario artista venuto a mancare 7 mesi dopo le riprese del video.

Segue il testo e la traduzione del brano:

I hurt myself today
To see if I still feel
I focus on the pain
The only thing that’s real
The needle tears a hole
The old familiar sting
Try to kill it all away
But I remember everything
What have I become
My sweetest friend
Everyone I know
Goes away in the end
And you could have it all
My empire of dirt
I will let you down
I will make you hurt
I wear this crown of thorns
Upon my liars chair
Full of broken thoughts
I cannot repair
Beneath the stains of time
The feelings disappear
You are someone else
I am still right here
What have I become
My sweetest friend
Everyone I know
Goes away in the end
And you could have it all
My empire of dirt
I will let you down
I will make you hurt
If I could start again
A million miles away
I will keep myself

I would find a way

Oggi mi sono fatto del male
Per vedere se ero ancora in grado di sentire,
Mi sono concentrato sul dolore,
la sola cosa reale
l’ago fa un buco
la vecchia solita puntura
che cerca di eliminare ogni cosa

ma io ricordo tutto

Cosa sono diventato?
mio amico più caro
tutti quelli che conosco
vanno via alla fine
e potresti avere tutto
il mio impero di sporcizia
ti deluderò

ti farò del male

Indosso questa corona di spine
sulla sedia del bugiardo
pieno di pensieri spezzati
che non posso riparare
sotto le macchie del tempo
i sentimenti scompaiono
tu sei qualcun altro

io sono ancora qui

Cosa sono diventato?
mio amico più caro
tutti quelli che conosco
vanno via alla fine
e potresti avere tutto
il mio impero di sporcizia
ti deluderò

ti farò del male

Se potessi ricominciare
milioni di chilometri lontano da qui
manterrei me stesso

troverei un modo

N.B. Si consiglia di ascoltare il brano in questione durante la lettura di quanto segue.

Strofa
La mano scivolò quasi da sola sulla pozza di liquido caldo e vermiglio che sgorgava dal mio costato. Prima ci fu un boato, poi caddi e mi ritrovai seduto a fissare le nuvole. Concessi al mio cervello una decina di secondi per realizzare quello che era successo. Alzai la mano lentamente, la girai e ne guardai il palmo gocciolante, muovendolo come se mi fossi accorto solo in quel momento di averla. Erano mesi che una voce nella mia testa cercava di avvertirmi, qualcosa nella mia testa pulsava da giorni per  convincermi a tornare indietro finché ne avessi avuto l’opportunità. Ma ormai ero li, seduto nella polvere di una sperduta cittadina fatiscente mentre una tempesta di proiettili mi fischiava nelle orecchie… Lentamente, attraversando i secondi senza fretta…
L’addestramento e l’esperienza maturata in quell’inferno ad un tratto mi parlarono chiaro: senza un medico nelle vicinanze, potevo solo aspettare e fare pace con me stesso…
Cercai di issarmi a sedere dritto e con la mano pulita cercai nel taschino della divisa; ne portai fuori una vecchia foto stropicciata e ingiallita, dove due ragazzi innamorati mi sorridevano felici… Lui facevo quasi fatica a riconoscerlo…
Lei invece…
Sapevo che il mio ultimo pensiero l’avrebbe cercata, ma non pensavo che sarebbe successo così presto.
Avrei voluto imparare a suonare il violoncello… Quel suono così elegante e corposo mi attirava da anni e anni, ma non ho mai avuto il tempo di prendere lezioni… Il tempo…
Chissà com’era il Messico… Lo avevo sempre visto solo attraverso i film, ne avevo desiderato il calore, i colori, la pace…
Avrei voluto chiedere scusa a mio padre, forse non meritava quelle parole… E il pensiero ricorrente di mia madre affranta da quella lite non era il miglior modo di congedarsi da questa vita…
Guardai le nuvole che sbucavano da quei palazzi diroccati, rosse e vaporose, uno spettacolo… Ad un tratto mi accorsi quasi per caso di una brezza leggera che mi accarezzava il viso… Sembrava profumare del pane fatto in casa da mia nonna, o del profumo che Jane aveva quando ci siamo sposati, o dell’erba che cresceva nel giardino dietro la mia villetta, rinvigorita dall’aria estiva. Possibile che non mi ero accorto di quella brezza fino a quel momento? Boh, ormai non aveva più importanza…
Abbassai lo sguardo e notai il mio vecchio lettore mp3 a terra, tra le mie gambe… Probabilmente era lì da quando avevo sfilato la foto dalla stessa tasca in cui lo tenevo. Lo raccolsi, lo guardai un secondo, e mentre la vista cominciava ad annebbiarsi pensai che non volevo certo affrontare questo viaggio da solo… Strinsi nella mano la foto, accesi il dispositivo e cominciai a cercare, tranquillamente, senza paura… Trovai un pezzo, impostai la ripetizione continua e infilai le cuffie.
Il cielo mi mostrava meravigliosi riflessi scarlatti… La musica partì…

Jane…

Solo
Una chitarra acustica nuda e solitaria apre il brano, intrecciandosi in un arpeggio solenne ed evocativo. Pochi giri per lasciare che l’orecchio si abitui a quel silenzio di contorno, dopodiché una voce si lascia cadere su quelle sei corde, cavernosa, arrugginita, segnata dal tempo e dagli sforzi… Le parole sgorgano e si distendono nella metrica della strofa, cominciando a raccontare di una vita impetuosa, di bruciature, di ferite medicate ma mai dimenticate.
Voce, chitarra e qualche colpo di piano si stringono in una preghiera silenziosa, sussurrata alla polvere, dispersa nel vento…
Nessuna batteria, nessun basso, nulla. Voce, chitarra e qualche colpo di piano bagnati da gocce di memoria.
La strofa prende quota e si apre in un ritornello percussivo e incalzante, sostenuto da un canto che sembra aver ritrovato un riflesso dell’antico vigore. I versi si risvegliano, affilati ed inquieti sotto i colpi di un pianoforte tonante, per ergersi fieri nel cuore del brano… E dolcemente morire in una nuova strofa. Un’eco amaro e nostalgico dilaga sul familiare arpeggio, mentre una chitarra elettrica lacrima sulla scia di un synth; una breve tregua si esaurisce in un nuovo ritornello, agitato, furente, mentre il piano in tempesta continua a lampeggiare in sottofondo. Ultimo minuto, tutto rotea vorticando attorno alle parole di quel vecchio, che resta fermo, con centinaia di sconfitte cicatrizzate nella carne, migliaia di giorni incisi negli occhi, curvo sotto il peso dei ricordi.
Con un ultimo sospiro, un ultimo verso, il vecchio se ne va per la sua strada, e tutto si immerge nel silenzio…
Jane…
Di Luigi Izzo

Potrebbe piacerti anche