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Antonio Palumbo e il viaggio nell’anima della musica: intervista

by Paola Pagni
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Con il suo ultimo progetto, “Che cosa dicono le canzoni”, Antonio Palumbo dimostra che la musica non è solo un mezzo espressivo, ma un vero e proprio linguaggio capace di svelare l’inesprimibile. Mescolando folk, pop ed elettronica, e scrivendo per la prima volta in italiano, l’artista ci invita a esplorare un mondo fatto di emozioni profonde, leggerezza creativa e una nuova connessione con gli altri.

In questa intervista esclusiva, Palumbo si racconta con sincerità, affrontando i temi centrali del suo EP, il suo processo creativo e i suoi sogni futuri.

Intervista a Antonio Palumbo

“Che cosa dicono le canzoni” è un titolo che sembra porre una domanda fondamentale sul ruolo della musica. Qual è il significato più profondo che hai voluto esplorare con questo progetto?


È sicuramente stata una domanda fondamentale per me, mentre scrivevo queste canzoni. A un certo punto in me era scattata la frustrazione per dei risultati non raggiunti, e uno un po’ di domande se le fa. Su sé stesso, sul sistema, sulla musica. La risposta migliore a queste paranoie è stata lavorare su questi brani, senza aspettative ma riversandoci dentro il mio cuore. E ho ritrovato la voglia, mi sono riconnesso con il mio io più profondo, perché è da lì che nasce la mia necessità di fare musica, da sempre. Poi, che cosa dicono le canzoni non è che si capisca sempre, le canzoni sono organismi misteriosi che si evolvono nel tempo, riflettono quello che uno ci vuole sentire dentro.

La tua produzione mescola elementi di folk, pop ed elettronica. Come riesci a mantenere una tua identità artistica pur abbracciando generi così diversi?


Non ci penso mai in modo razionale, quando scrivo seguo un po’ l’orecchio, quello che mi frulla in testa in quel momento. I miei gusti sono molto variegati e attraverso fasi di varie fissazioni con gli ascolti. In generale non mi pongo limiti. Credo che la mia sia una produzione che nel tempo si sta stratificando, e sono felice si percepisca questa organicità, questa mescolanza di influenze, questa moltitudine di ispirazioni. Forse sbaglio ma non ragiono sulla mia identità artistica a priori, mi concentro di più sulla libertà artistica.

Scrivere in italiano per la prima volta ha rappresentato per te una sfida o una liberazione? In che modo questa scelta ha influenzato la tua narrazione musicale?


L’italiano è una conquista e un godimento. Quando il progetto Nebel (la mia prima band) è terminato e ho deciso di mettermi a fare musica da solo mi sono rifugiato nell’inglese. A distanza di tempo vedo questa scelta come un tentativo di nascondermi, principalmente da me stesso e da quello che ho dentro, dalle mie emozioni. Adesso non mi va più, ma anche questo è stato un processo naturale: quando scrivo non mi vengono più di getto parole in inglese, e sto iniziando a divertirmi con l’italiano. E quando canto dal vivo sento un’emozione tutta diversa. Quindi sì, è una bella liberazione.

Hai descritto la creazione di questo EP come un processo libero e sperimentale, quasi come un gioco. In che modo questa leggerezza ha influenzato il risultato finale?


La leggerezza è stato l’unico approccio possibile, considerati i “tormenti” interiori di cui raccontavo sopra. Mi sono chiuso in studio da solo a scrivere, dandomi un appuntamento fisso con me stesso e senza influenze esterne, come quando da piccolo suonavo in cameretta. E ho cercato di usare approcci improvvisati sul momento: un giorno un giro di chitarra, un giorno un loop di batteria, un’altra volta delle note di synth. Ho composto inconsapevolmente un puzzle, il resto è opera del produttore Edoardo Romano, che ha tirato fuori questo mélange di suoni perfetti su ogni brano, e ne è venuto fuori un viaggio sonoro intenso e leggero allo stesso tempo.

“Spengo la musica” affronta il tema della frustrazione creativa. È stato terapeutico scrivere questo brano?


Alla fine sì, “Spengo la musica” da solo ha risposto a tutti i miei dubbi non tanto sulla frustrazione creativa, le idee per fortuna ancora non mi mancano, ma sullo scopo della mia creatività. Perché se il testo è un po’ drammatico, il sound è invece in contrasto, quasi gioioso: è la musica a rispondere da sola, non la puoi spegnere, e chi se ne frega di tutto il resto.

La Luna è un simbolo ricorrente nei tuoi brani, come in “Ho guidato tutta la notte”. Cosa rappresenta per te?


Dev’essere una cosa inconscia, mi sono accorto solo alla fine che la luna compare in più pezzi, ma anche le stelle. Devo chiedere al mio psicologo cosa significa (rido).

Con “Davanti al mare” esplori la connessione con gli altri e la forza della memoria. Quanto è importante per te che la tua musica non solo racconti, ma unisca le persone?


In un certo senso mi sembra di avere appena iniziato a capire l’importanza della connessione con gli altri, per lungo tempo sono stato tanto rivolto verso me stesso. Crescere però mi sta facendo capire la bellezza della condivisione, e la musica è potentissima in questo. Certo, bisogna averne voglia, forse prima volevo solo cantare con gli occhi chiusi, adesso mi accorgo che durante i concerti cerco lo sguardo degli altri, uso il corpo in maniera più narrativa. Mi sento più libero di entrare in contatto con gli altri.

Guardando al futuro, quali territori musicali o narrativi ti piacerebbe esplorare per continuare a evolverti come artista?


In questo momento ho tante idee: vorrei ri-arrangiare i brani di questo disco in acustico, vorrei scrivere una specie di concept album sull’estate, vorrei mescolare sempre di più elettronica e analogico. Vorrei provare strade nuove anche dal vivo, condividendo palchi con altri artisti. Spero di continuare ad avere questo flusso senza subire l’ansia del tempo, e un mattoncino alla volta fare tutto con curiosità e libertà.

Con “Che cosa dicono le canzoni”, Antonio Palumbo si conferma un artista capace di abbracciare la complessità dell’animo umano con un approccio musicale libero e sperimentale. Le sue canzoni non parlano solo all’ascoltatore, ma si trasformano in un dialogo vivo e aperto, in grado di unire e far riflettere. Un talento da seguire, perché il viaggio è appena iniziato.

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