20 Dischi Grunge da rispolverare (o scoprire) – Part #1

di Barbara Scardilli

Sono un vegliardo oramai. Non così tanto, in verità. Fatto sta che, nonostante abbia già da qualche anno superato la soglia dei 30, trovo praticamente impossibile scrollarmi di dosso quella polvere Grunge che ho sulle spalle. Camicia a quadri, Levi’s 501 e lettore CD portatile compresi (il Walkman purtroppo è andato perduto). Ogni tanto una spolverata, giusto per vedere al di là della coltre, ma poi insindacabilmente il Grunge torna su di me e in me.

Perché dunque non sfruttare questo mio lato stantio, dall’odore di naftalina ma che per fortuna non ha ancora preso ad ammuffire? Orbene, cari lettori di Inside Music, il qui presente scribacchino ha pensato a un vademecum di album dell’era Grunge che potete rispolverare. O perché no, scoprire tardivamente, come il sottoscritto ha fatto e continua a fare di tanto in tanto.

Inizialmente dovevano essere 10 proposte musicali. Poi 15. Sono diventate 20. Meglio così: sarà un viaggio più lungo ma al tempo stesso più graduale, più dettagliato. Come un percorrere in auto una strada e guardare dal finestrino il paesaggio ora tortuoso e montano, ora più morbido e collinare, ora brullo e pianeggiante, ora immerso nel verde più immenso.

Blind Melon – Blind Melon (1993, Capitol Records)

Una chicca, soprattutto uno di quei rari casi in cui il primo album di una band ha una produzione superiore rispetto al secondo. Losangelini, un po’ funk, un po’ folk, una sottotraccia rock che pervade tutto il disco e una voce, quella di Shannon Hoon, tanto particolare quanto ipnotica. Non puoi dire sia sgraziata, puoi dire solo che è magnetica, in un modo o nell’altro. Sicuramente avrete sentito almeno una volta per sbaglio il singolo “No Rain”: tanto allegrotto e catchy il motivetto, quanto ciniche e sconsolante alcuni passaggi del testo. Di grande rilevanza anche il secondo album della band, Soup, benché molto più tetro e con una produzione decisamente diversa e meno rifinita.

L7 – Bricks Are Heavy (1992, Slash Records)

L’opera maxima di Donita Sparks e Suzi Gardner. 100% Grunge, anche se risentono molto delle influenze punk. Sarà anche per questo che erano una delle band preferite di Kurt Cobain. Ascoltate oggi, sono avanguardia pura. Soprattutto “Pretend We’re Dead” ispirerà qualche futura scelta stilistica dei Garbage (sarà un caso che il produttore di Bricks Are Heavy sia Butch Vig che l’anno successivo diventa fondatore e deus ex machina proprio dei Garbage?).

Temple Of The Dog – Temple of The Dog (1991, A&M Records)

Ricordo chiaramente che 10 anni fa eravamo in pochi a ricordarci di loro, dei “Pearl Jam con Chris Cornell alla voce”. Ma sono molto di più. L’omonimo album è IL manifesto del Grunge. È l’omaggio sincero ad Andy Wood, talento incredibile, formidabile frontman dei Mother Love Bone. E amico fraterno di Cornell. “Il Grunge è nato quando la nostra innocenza è morta. Ed è morta con Andy”. “Say Hello To Heaven”, la celebre “Hunger Strike” in duetto con un allora sconosciuto Eddie Vedder, “Pushin’ Foward Back”… Un album incredibile, vera essenza di un movimento culturale, oltre che musicale.

Mudhoney – My Brother The Cow (1995, Rhino Records)

Sono buono e vi consiglio uno degli album più easy listening dei Mudhoney, una delle band preferite di Kurt Cobain. Mark Arm è stato inoltre una delle menti dei Green River, forse il più “fedele” nel voler mantenere una linea assolutamente underground e più punk oriented a livello di spirito. Lo si capisce anche in questo disco, lo si comprende benissimo nei precedenti. Band di non facile assimilazione, ma ricca di spunti interessanti anche per chi non è esattamente permeabile a dissonanze e rasoiate.

Screaming Trees – Sweet Oblivion (1992, Sony Music)

A Mark Lanegan dobbiamo tutto. Tutti devono in qualche modo qualcosa a Mark Lanegan. Dobbiamo ringraziarlo per gli Screaming Trees e per Sweet Oblivion, arrivato allora al successo anche grazie all’inserimento di “Nearly Lost To You” nella soundtrack di “Singles”, film culto per l’epoca (curiosità: nella pellicola Matt Dillon è leader di una band di Seattle, i Citizen Dick… interpretati dai Pearl Jam). Sicuramente in qualche pubblicità avrete anche ascoltato, senza saperlo, il magnifico brano Dollar Bill. Da riscoprire. E ringraziate zio Mark per queste perle (e anche per i Queens Of The Stone Age, ma questa è un’altra storia).

Eco i primi 5 dischi dell’era Grunge da (ri)scoprire assolutamente. Appuntamento al prossimo step. Ci saranno delle sorprese, fidatevi.

Articolo a cura di Andrea Mariano

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