Pink Floyd, band pioniera della musica progressive, tra i più ardimentosi esploratori dei nuovi panorami offerti dal rock sin dai primi anni sessanta. Un assetto musicale riconosciuto come “lisergico”, ad identificare la potenza degli acidi che ispiravano tutta quella psichedelia della prima fase del gruppo. A partire dal decennio successivo la carica rock subisce una evoluzione, che è la chiave che fa fare il grande salto nel mainstream (e nella storia) alla band. Tre grandi assetti hanno determinato le tre grandi fasi, a seconda del condottiero del momento, poi i dissidi interni e la parabola discendente.
Proviamo a ripercorrere la biografia artistica del leggendario complesso londinese, attraverso cinque le canzoni dei Pink Floyd, nel format da noi brevettato come Biosong.
La band nasce dall’incontro dello studente di pittura Roger Keith Barrett (Syd) con Roger Waters, studente di architettura e chitarrista di una band (Sigma 6, Tea Set) nella quale suonavano altri due aspiranti architetti: Nick Mason e Rick Wright oltre al bassista Clive Metcalf e ai cantanti Keith Noble e Juliette Gale. Nel ’65, dopo lo scioglimento del gruppo, Waters (al basso), Barrett (chitarra), Wright (tastiere) e Mason (batteria) decidono di formare una band: il nome, scelto da Barrett, è Pink Floyd e deriva dai nomi di battesimo di due bluesmen americani, Pink Anderson e Floyd Council.
Formati i Pink Floyd (o i The Pink Floyd come li ha sempre chiamati David Gilmour), la loro storia musicale la si può riassumere in tre grandi ere: era di Barrett, era di Waters ed era di Gilmour.
Primo brano di questa “vita in canzoni” è “Echoes” (Meddle, 1971). Sesta traccia di “Meddle”, dura 23 minuti ed occupa l’intero lato B dell’album. Il brano inizia con una nota di pianoforte acuta (Si) e ripetuta varie volte (effetto d’eco di un sonar prodotto da un Leslie per effetto del pianoforte di Writh e la slide guitar di Gilmour). Dopo pochi minuti entra la batteria e a seguire la strofa, cantata da Gilmour per la melodia principale e da Wright per l’armonizzazione. Il brano prosegue sostenuto dalle magie distorte di chitarra di Gilmour fino al momento psichedelico che rialza il tono del sound creato dall’organo Farfisa di Wright, vero protagonista del brano. Il testo è complesso ed enigmatico, anche se breve. Si tratta di un’invocazione, rivolta contemporaneamente all’uomo e a un Dio forse muto, davanti ai misteri del cosmo. Un cosmo che non risponde e in cui ci scopriamo spesso soli. Tema che funge da apripista per tutti quelli che verranno in Dark Side of the Moon.
Secondo brano protagonista è “Breathe” (Dark Side of the Moon). Siamo nel 1973, ancora in piena fase Barrett, ma con una estroflessione stilistica di apertura verso il classicismo del rock, abbandonati così i dettami dello psicotico e lisergico punk. Una pietra miliare della musica mondiale, questo è l’album che ognuno di noi dovrebbe avere nella propria collezione. Imprescindibile per ogni appassionato di musica. Padre delle hit “Us and Theme “Money”, ed “Eclipse”, è forse “Breathe” la vera pietra angolare del capolavoro discografico. Contenuta in accoppiata con “Speake to me”, il brano inizia al minuto 1.08. richiama il tema del riposo dopo la fatica, ma si rivolge anche al senso delle nostre vite. E anche in questo caso il testo, in parte enigmatico, è di Roger Waters. La seconda strofa sembra, molto semplicemente, alludere al senso dell’esistenza, fatta di piccole cose a cui però troppo spesso non diamo peso: «Vivi a lungo e voli in alto. E i sorrisi che darai e le lacrime che piangerai, e tutto ciò che tocchi e tutto ciò che vedi è ciò che sempre sarà la tua vita».
Per il Terzo brano rimaniamo sullo stesso album, con la iconica “Time”. Primo dei soli due singoli estratti. Un ticchettio di orologio fa da sfondo alla hit, “il tempo scivola via e non ci si accorge di quanto tempo si sta sprecando” è questo il messaggio in codice dietro questi 6,22 minuti di capolavoro. “Il sole è sempre lo stesso – relativamente parlando – e tu sei più vecchio, con il fiato più corto, e con un giorno in meno da vivere”.
Usciamo dall’era Barrett ed addendriamoci nella fase Waters (1979 – 1985). Questa fase ha prodotto due capolavori come “The Wall” e “The Final Cut”. Il quarto brano di questa life-song è “Another Brick in the Wall”, dal primo dei due album, del 1979. Il brano si suddivide in tre parti, ciascuna ha toni più forti e rabbiosi di quella che la precede, dalla tristezza della prima parte, al messaggio di protesta della seconda, fino alla rabbia ed alla disperazione della terza. Esso è la storia di Pink, un ragazzo vittima di alcuni torti inflittagli dalla vita, a cui reagisce costruendo un “muro” di difesa. Nella prima parte del brano egli viene a conoscenza della morte del padre in guerra, ciò lo distrugge moralmente (prima parte: denuncia contro le barbarie della guerra e degli eserciti). Nella seconda parte – dove viene ingaggiato un coro di studenti di musica del professor Alun Renshaw dell’Islington Green School, Pink dopo essere stato ingiustamente vessato e sgridato dal suo maestro, sogna il giorno in cui i ragazzi avrebbero cominciato a protestare insorgendo contro gli insegnanti troppo severi, e aggiunge un altro mattone al suo muro di difesa (seconda parte: denuncia contro la severità dei collegi). Nella terza parte infine Pink decide di finire il muro a causa della rabbia scaturita in lui dopo il tradimento della moglie, giudicando di non aver bisogno di nulla e riducendo tutti i suoi conoscenti a semplici mattoni nel muro (terza parte: denuncia contro i tradimenti degli uomini).
Il quinto ed ultimo brano proviene direttamente dall’era Gilmour, “Marooned” estratto da “The Division Bell”, premiato nel 1995 con un Grammy Award come miglior brano strumentale.
Composto da Richard Wright e David Gilmour, il brano è interamente strumentale e si apre inizialmente con versi di gabbiani e altri suoni poco scanditi a cui fa seguito la tastiera. Dopo circa trenta secondi entra la chitarra, che esegue un assolo lento, caratterizzato da note acute, accompagnata dal tappeto di tastiere e dal piano, che si limita a suonare semplici accordi. Attorno alla metà del terzo minuto anche la batteria fa la sua comparsa nel brano, ma l’assolo non subisce variazioni particolari. L’accordo finale è collegato all’inizio di A Great Day for Freedom.
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