La prima volta che ascoltai Bombino ero in Sicilia, per un mini tour in cui facevo da spalla ai Blindur. A farmelo scoprire fu Michelangelo, chitarra e banjo del duo campano, che mi fa, mentre attraversavamo la periferia di Licata a bordo della loro Multipla: “Lo vuoi ascoltare uno forte, uno che ti piacerà sicuramente?”. “Vai, Micki!”.
Ma cominciamo dal principio.
Ieri, alle Officine Grandi Riparazioni di Torino, ad aprire le danze, nella terza ed ultima serata della rassegna “Africa Now”, c’era Adriano Viterbini, chitarrista del duo Bud Spencer Blues Explosion, e Jose Ramon Caraballo Armas, polistrumentista cubano, che vanta collaborazioni, tra gli altri con Daniele Silvestri e Bandabardò. Un duo originalissimo, quaranta minuti di fusion tra suoni caraibici, assoli di tromba e le chitarre sporche e cattive del chitarrista romano, un live in cui ci è scappato anche “Chan Chan”, apprezzatissimo omaggio al leggendario Compay Segundo.
Intorno alle 22:30, la band sale sul palco.
A colpire è subito la mise dei quattro musicisti, chiaro omaggio alle origini tuareg del leader: Bombino, classe ’80, chitarrista natio del Niger, paese che, a causa degli scontri civili createsi negli anni novanta, è costretto a lasciare, e dove ritornerà solo a ridosso del nuovo millennio, iniziando di fatto la carriera da musicista in una miscellanea di blues, rock e suoni mediorientali.
Gli incalzanti ritmi che, subito, dal primo brano, fanno ballare i paganti, sembrano essere la colonna sonora di una corsa, di una fuga sul dorso di un cavallo, attraverso le dune del deserto; gli assoli e la voce del frontman, quasi un richiamo, l’eco del fruscio di un ruscello che scroscia in un’assolata oasi, riparo e salvezza per il nomade popolo berbero.
Bombino è il Sahara, e le sue chitarre i venti del deserto.
Un live tutto da gustare.
Il concerto si conclude e la folla inizia ad affluire verso l’uscita in un unico abbraccio.
Come un popolo nomade,
come anime del deserto,
come abitanti della Pangea,
come se la deriva dei continenti non fosse mai avvenuta.
Siamo tutti figli di mamma Africa.
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